mutevolezza come
di nuvole
-parabole
-alchimie del sangue
mimesi icariana
la giovinezza frale
-nei suoi umori
intinta
la penna di Goethe
mutevolezza come
di nuvole
-parabole
-alchimie del sangue
mimesi icariana
la giovinezza frale
-nei suoi umori
intinta
la penna di Goethe
sto incollato
a un muro
vi resterò forse fin quando
m’imbavaglierà una reclame
di nonsoché o forse
mi straccerà una mano ignota
ma sarò ancora la voce
di chi non ha voce
sarò il suo sangue
che urla attraverso
i miei squarci
(rifatta da una prima stesura del 1983)
Collage
ho ripreso in mano le poesie giovanili
alcune rifatte altre modificate
con severi tagli senza rimpianti
ispirazioni bucoliche vestite di primavera o
di autunnali malinconie
vi è rimasto intatto
lo spirito degli alberi e del vento
la resina la radice linfa da cui vita rinasce
29.5.22
L’epigrafe di apertura, ripresa dalla dedica di Raffaele Crovi , a Flavio e Teresio, pare individuare con precisione quale sia la scialuppa di salvataggio per praticare quel mare aperto e arrivare a casa.
La poesia allena l’ “analfabeta”/ancora vergine di conoscenza / a “disincagliarsi dalla vita” /e a viaggiare dentro il mistero/ (che è la somma delle verità).
Ma si tratta di trasparenze lacere, così le chiama Felice Serino, queste visioni , o voci, che arrivano da quel mare di cui dice e non ha nome, se non umanità, storia, e sembrano voci lacerate dalle perdite. I testi evocano, in questa silloge breve, altre parole, messe nell’acqua del linguaggio da altri , sin dal titolo del libro, che riprende una frase di Piernico Fè, come cita nella prefazione Marco Nuzzo: -creando una sorta di sprazzo sui diversi moti del mondo, ornato dalle molte sfaccettature e che ne compongono, malgrado tutto, una visione d’insieme talvolta succube delle vicissitudini carnali, umane. -E dovunque nel libro si sentono questi echi da terre senza nome, dispersi nei moti dei venti e tra le orme liquide dei naviganti, che hanno messo in mare i loro legni, le loro sementi, portando anche all’autore ulteriori germinazioni. Ciò che mira l’occhio di Serino non è direttamente il viaggio, ma il viaggiatore, poiché, come dice Pessoa, è lui il cammino. E qui , proprio riportando al suo piede e al suo occhio, al suo orecchio interiore, le voci degli altri, facendone terra del suo essere, Serino moltiplica questo andare in sé, lui terra e osservatorio di quel territorio senza fine, ma anche angusto, per la grevità dei gesti che si ripetono, e sono gesti umani, stratificazioni del pianeta e della memoria, miseria e guerra e preghiere come pietre che sembrano infossarsi più che elevarsi se non partono dalle più oscure profondità di ciascuno. In quelle stesse profondità, oscure, spesso minacciose, esiste un altrove, a cui abbiamo accesso, in cui esiste un rifugio durante la navigazione ed è quello che è casa aperta nel cuore del mare. Serve viaggiare, serve andarci e la poesia aiuta a fare vela fino a quel continente che, alla fine, dopo una vita intera di rotte praticate , si scopre essere un oltre in sé.
fernanda ferraresso
memoria di volo
dell’ antenascita - quando l’ angelo
benigno si piegò
nel vestire la carne
ora nello smarrirsi dei mattini
in un’ aria di vetro
da memoria si torna a essere
sogno
a raccontarci è l’ infinito
mare
Chagall - Siren and fish
sull’onda bianca della pagina
inavvertita la musa
come un’ala si posa e
si china discreta
a ricreare di palpiti un vago
sentire di mare
dentro di noi siamo
un infinito ma confuso: una
finita infinità
per dirla con la dickinson
percepiamo a tratti
andiamo come ciechi - vediamo
per speculum in aenigmate
e ci sogniamo
23.5.22
con l’ avanzare degli anni
riduci sempre più il percorso
delle tue camminate
giungerà il momento
di affacciarti solo sull’ uscio
o dalla finestra vedere l’ immensa
distesa di verde e nello
stravedere la scambierai per quel mare
che ti vide nascere
-ti brilleranno gli occhi andando
col pensiero alla fanciullezza gaia
ora quella luce è fuggita
lascerai
impregnato quel mare d’erba
di amori e pene ed eterei voli
Dalì - Landscape of Portlligat
ritagliare dai giornali
lettere cubitali
per farne una poesia- manifesto
già vedi uomini- sandwich
popolare le piazze
il rosso grido di denuncia
abbasso x viva y
-sordi i governanti
al lamento dei poveri
vedi giungerà il momento
in cui
si abbatterà repentino uno
tsunami
a rovesciargli la poltrona
Il poeta Zaninetti molto noto nell'ambito letterario, morì prematuramente nel 2007 a 59 anni.
È un circolo vizioso la poesia. La parola cattura, “t’apre il terzo occhio, parla all’orecchio del cuore”. Ci consegna quest’immagine in bellezza Felice Serino, nel suo ultimo lavoro “Nell’infinito di noi” nuovo e-book pubblicato da poesieinversi.it (ottobre 2016) : “il terzo occhio”: per dirci che due non bastano, forse; per darci un pianto più forte; per far convergere immagine ed immaginazione nell’orbita della sua lente lirica: che ha qualcosa di raro nel panorama odierno e cerca un battito acuto, che arrivi pungendo, svelandoci, all’apice di una luce altra, indicibile. Perché è così che si compone, tutta nel segno della rivelazione, questa poesia sintomatica che ha voglia di condurci, o piuttosto attirarci in un riflesso di luci e voci quasi catartiche, dolenti e salvifiche, tra veglie e sonni, ricordi e presagi, affanni e gioie a ricucire la vita in un’epifania di interni: dove risiede il cuore, appunto, malato d’amore per la vita, che batte e sente e più ancora “vede” in quel sentire. Perché è cantata, così a volte persino come ammonimento, la vita altrimenti sconfinata, nei “muri di casa che abitano il vuoto”, nelle “code di cometa a cui s’attaccano in sogno i bimbi”, persino “nei fondi di caffè”, profondi anch’essi nel “mare del sogno che è la vita che si lascia vivere”. E mai è temuta questa vita, che Serino ausculta mite, persino in limine, in quell’ora sospesa guardata dritta negli occhi, perché: “non serve prodigarsi più di tanto / non restano che spoglie l’anima è già via / nell’ora sospesa / fisseranno compunti quel viso di marmo / mentre il tuo presente ha chiuso la porta / il pugno o la palata di terra / con la benedizione dell’officiante poi / a tavola com’è uso per dire la vita / continua / qualcuno forse già alticcio / leggerà con deferenza / alcuni tuoi versi trovati in tasca / restano in rete briciole di te. Ed eccolo nel viale della dimenticanza l’abbrivio invocato, alfabeto dell’acqua e del sangue, a ricordarci che la vita è questo scrigno pieno di palpiti lasciati sulla riva a brillare, perché il tempo se ne curi e lo riservi in ogni autunno che si ripete, dentro lo scricchiolio di una semplice foglia, accartocciati e incolumi, nell’Infinito di noi; ecco l’enigma che s’invola, per impigliarsi nel vento, per essere vento sulla rotta del cielo, per accogliere “in vaghezze di luna l’erratico cuore” o per trovare la “piuma d’angelo” nascosta dentro la parola. E la parola galleggia, deambula talora specchio e vertigine, bottiglia nell’oceano e bussola di morte e vita, ed è già un fiore dalle radici d’oro, uscito dalla bocca del cielo, per esplodere. E forse l’esplosione è amore che ci piove addosso, scaglia a scaglia abbracciandoci, affratellati nell’unico destino, tremebondo, immenso.
Giovanni Perri
davanti
dietro di lato s’ allunga
si spezza se riflessa
in acqua mutilato corpo
mi ripete
negativo di me profilo
esangue
finché vita
avrà
da estrema obliqua luce
nel momento del distacco dirai
forse impropriamente
è mancato - invece d’ un accorato
ci abbracceremo nell’ altra dimensione
mancato sì alla scena
del mondo
com’ è giusto per l’ ordine delle cose
apparenti
la stella nana la formica
si perde
armonia nel rifare una nuova
poesia da una datata:
ne risulta un vaso incrinato
allo stesso modo ogni
esemplare è intoccabile:
è dall’origine
della foglia la foglia- madre
come la pensò Iddio -
così la parola
così la natura
toccare i geni è una bestemmia
che sale al Cielo
uscire di forza
dal nightmare bucando l'aria -
la riuscita
se in parte è già tanto: trovarsi
nel letto della vecchia casa
d'infanzia
sogno dentro il sogno
Gennaio – Marzo 2016 n. 64
Felice Serino, Frammenti di luce indivisa, poesie,
(ed. Centro Studi Tindari – Patti, 2015, pp. 122, euro 10,00)
.
La silloge “Frammenti di luce indivisa” di Felice Serino, ha caratteristiche particolari: divisa in più parti rappresentative di tematiche complesse, richiede al lettore un’attenta analisi delle stesse, tale da tracciare il profilo dell’opera in maniera completa. Le liriche brevi, l’uso dei caratteri minuscoli, la mancanza del ritmo segnato dalla punteggiatura, rendono più efficace l’emissione dei sospiri dell’anima del poeta, che non si sofferma a pensare, ma si abbandona all’espressione catartica e liberatoria del proprio sé. Una grande amarezza pervade i versi in apertura, cosicché il lettore che ne codifica il senso, si sente coinvolto nella profonda tristezza del poeta che recita così: “la vita ha in tasca la morte / non è che un perpetuo / tramare / “cospirazioni” del nascere”.
Con questi versi, il nostro Serino inizia la ricerca d’appiglio di fronte al “buio” dell’anima che “… nessun canto d’angelo” conforta. Attimi d’angoscia attraversano il suo cuore, mentre con affanno, si chiede: “Dio / dov’era…”. Poi, chiuso “nel cerchio di dolore” esclama: “Padre perché mi abbandoni”. Ma nella sua anima, nutrita da principi cristiani, lo smarrimento è breve: la presenza certa del Cristo, “il Giusto” immolatosi per la salvezza degli uomini, lo invita a “rigenerarsi nell’urlo della croce”. Con ascetico slancio, Serino s’impegna a superare i tanti inganni degli uomini per i quali “di giuda è piena la storia…”, e accende la sua anima, attingendo agli effetti benefici della conoscenza che definisce: “il raggio verde”. L’uomo, afferma il poeta, cerca costantemente di uscire dalle strettoie del male e del dolore che lui stesso conosce e vive.
Il ritmo breve e incalzante delle sue poesie ha come linea conduttrice il percorso esistenziale dell’autore che, nel trascorrere del suo tempo, vede alternarsi la luce alle ombre. L’amore per la vita, apparso fievole e talora inesistente, riemerge nel poeta allorché esprime la sua meraviglia per gli occhi di luna di una bimba che non ha mai visto il mare, né ha potuto “restarne rapita / dal ricrearsi sull’acqua di riflessi dorati”. Nella dolcezza di pensieri nuovi, la morte non gli fa più paura “se il precipitare in se stessi è in vista di risalita” con la stessa certezza con cui (alla notte segue il giorno).
Il lettore si chiede cosa sarà mai mutato nella vita del nostro Serino se insorge in lui il desiderio di “riscattare le ali/…/ luce dopo luce /…”. Nel suo poetico andare ricordi e sogni s’intrecciano nella preziosità di momenti in cui il cielo, sua massima aspirazione, è sempre presente. Non mancano, tuttavia, momenti estatici nei quali lo sguardo si posa sul mondo dove tutto scorre come “Nuvole vaghe”, titolo emblematico di una poesia della silloge. Tutto scorre e, in natura, elementi diversi si fondono nell’evoluzione dell’esistere. Immagini reali e fantastiche e “voli pindarici del sognare”, hanno origine dall’uomo e sono dell’uomo, afferma il poeta. I versi di Serino, talora complessi, vanno interpretati dal lettore attento che saprà fare propri la personalizzazione di enunciati linguistici, l’alternarsi di elucubrazioni dolenti e di sprazzi di luce, l’uso frequente della metafora.
Adalgisa Licastro
aprii la valigia
era piena di libri e di sogni
di vaghe nuvole e stanche lune
gli chiesi se leggesse poesie
arricciò il naso: -non mi nutro di quella
"manna" il mio cielo è di pietra e
non ne vedi angeli affacciarsi
né madonne
-non siamo -noi due-
della stessa razza
io
da opportunista
nello scrigno non porto chimere
Dalì - Testa esplosiva
i dolci animali d'acqua terra e cielo
a volte evanescenti prendono forma nelle nuvole
nel mare del cielo un tonno guizzante
assume sembianze sull'onda lucente
il bimbo sogna guardando estasiato
ippogrifi e delfini in lenta sequenza
pende dalle labbra del nonno che gli parla di quando
noè trasse in salvo dal diluvio tutte le specie
10-11.5.22
«Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà.
…È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore».
Peppino Impastato (Cinisi, 5 gennaio 1948 – Cinisi, 9 maggio 1978)
l’amore è un volo
che si stacca dai tuoi tramonti
e lascia una mesta dolcezza
come virgola di fuoco
quel dolore che si ferma negli occhi
sulle ferite -sai-
lavora a tuo favore il tempo
di Te
il dito
la saliva il fiato:
ri- fiorire vita
in cuore disabitato
e gli esecrandi
crimini? non
ricordi
dal sacrificio estremo
l’Albero
di sangue
si è ingemmato
sopra uno
sconquasso di secoli
sguardi e il tracimare
di palpiti
alle rive del cuore
aria dolce come
di labbra
incanutire di fronde
nella liquida luce
La vita nascosta (2017), di Felice Serino (Pozzuoli, 1941), ultima silloge edita per i tipi “Il mio libro” (in apertura di questa nota, Sguardi e il tracimare) sin dall’esordio propone un impegnativo corpo a corpo tra lettura e lettore sia per l’importante numero di liriche raccolte, sia per il percorso sacro-intimistico-sociale che in essa si snoda, attraversando momenti pubblici e privati, accadimenti reali e propositi a venire, in un caleidoscopio di sensazioni \ emozioni fedele alla poetica, allo stile e al tono pacato e garbato a cui l’autore ci ha felicemente abituati in questi anni da “autodidatta”, come egli stesso si definisce, rivelando con una sorta di meraviglia, in riferimento alla Poesia, l’essenzialità del fatto che in questo comparto non esistono scuole dove imparare il mestiere, ma, quasi si avesse a che fare con un destino, ognuno è artefice di se stesso. Ed in tempi di proclamate e ostentate scuole-correnti di pensiero non è poco affidarsi a se stesso, con tutte le conseguenze del caso, non per presunzione, quanto piuttosto per volontà di riconoscere fin dove si è capaci di arrivare e scoprendo, magari, che ogni limite può essere un’opportunità.
La silloge, introdotta da Giovanni Perri, propone trecento pagine di testi prodotti nell’ultimo triennio; un dato, questo, che fa ben comprendere il bisogno e la necessità che ancora si hanno della poesia, per la capacità di quest’ultima di riuscire ad esternare quel che è difficilmente esprimibile in altri modi. La poesia è, quindi, ancora un bene indispensabile – ed il lavoro di un poeta di lungo corso dovrebbe far riflettere sullo stato dell’arte – anche in questi nostri tempi di presunto futuro rivoluzionario, di cambiamenti, di distruzione dei valori fino allo sgretolamento della parte umana dell’essere vivente. Felice Serino crede nella poesia, come veicolo di miglioramento e di crescita, tanto del poeta quanto del fruitore della stessa, e nelle sue liriche racconta il vissuto, porta materialmente l’esperienza la riuscita e la disfatta con molta onestà, ad esempio, come si legge in Luce ed ombra:
luce ed ombra rebus in cui siamo
impronte di noi oltre la memoria
forse resteranno o
risucchiati saremo
ombre esangui nell’imbuto
degli anni
guardi all’indietro ai tanti
io disincarnati
attimi confitti nel respiro
a comporre infinite morti
L’interesse di Serino è senza dubbio l’Uomo, la Persona, in un’ottica trascendentale, plurale, e mai personalistica: anche quando il soggetto è l’Io, la riflessione poetica non si ferma mai al Sé, ma abbraccia sempre e comunque l’esperienza che può già essere o diventare patrimonio comune. Serino si pone come suggeritore, come consigliere, come insufflatore di positività. Ed ecco, allora, che anche l’esperienza più drammatica, come la morte, in questo poeta diventa qualcosa che non chiude, ma piuttosto apre ad una nuova visione e l’Uomo, nonostante i difetti, viene ad essere un elemento non attorno a cui ruota tutto il resto, ma un pezzo di un più grande disegno di cui si può solo tentare di dire attraverso la poesia, appunto. Ne La separazione si legge:
alla fine del tempo
è come ti separassi da te stesso
in un secondo ineluttabile strappo
simile alla nascita
quando
ti tirarono fuori dal mare
amniotico
luogo primordiale del Sogno
stato che
è casa del cielo
La poesia di Felice Serino, con la sua concretezza e il suo vissuto, anche laddove prevale il senso etereo o metafisico o quando richiama il sacro e finanche nei riferimenti all’arte, arriva al lettore diretta, mai sofisticata da espressioni scritte soltanto per destare scalpore, per mettersi in mostra o per creare un personaggio; puntuale e delicata anche negli argomenti più impegnativi, questa scrittura poetica rende in modo nitido e molto piacevole il frutto di riflessioni attente e dello studio continuo, sempre quali esternazioni di un grande amore per la conoscenza e per la materia vivente, in tutte le sue forme. Nella verticalità, nel tempo oltre la vita, nell’augurio di luce e nell’ineffabilità di cui è vestito il testo di In questo riflesso dell’eterno a parer mio è possibile leggere i temi cruciali della poetica di questo prolifico autore, che mostra senza fronzoli anche una dote poco comune tra i poeti, la generosità. (Angela Greco)
credimi vorrei dirti che quanto
avviene anche là avviene
oltre le galassie oltre
lo specchio dei tuoi occhi amore
anzi certamente è presente
da sempre in mente dèi
imbrigliati noi siamo in un giorno
rallentato
noi spugne del tempo
assediati da passioni sanguigne
credi mia cara che quanto
avviene semplicemente
lo rappresentiamo
sulla scacchiera del mondo
noi essenze incarnate
in questo riflesso dell’eterno
dove l’anima si specchia
mentre ci appare infinito
mistero la vita – miracolo
tutta questa luce che
ci attraversa
Dipinto di Leonid Afremov - Flash on the sunset
l’ angelo o essenza
primeva
in veste d’apparire
in amore converte
il suo fuoco ancestrale
è ubiquità ed ali l’angelo
o essere- pensiero
astronave di luce che
circumnaviga cieli interiori
si leva
da un’ alba rossa di passione
l’ afflato del cuore
quasi ad alleviare
-volo lieve di farfalla-
le brutture del mondo
asimmetriche tracce
lascia la poesia ch’ esprime
l’ angelo- farfalla
Dalì - L'occhio del tempo surrealista
il suo sguardo benevolo che
abbozza un sorriso lieve
dalla vetrata della cattedrale
illuminata lassù
mi ricorda l’angelo
sulla volta del soffitto
quando da bambino ero
cagionevole e a letto
oggi
mi sorprende un moto
di commozione
nel dilatarsi il cuore
in una luce cosmica
(ispirandomi a Borges e Pessoa)
anime che si cercano
vestite di apparenza
siamo: forme passeggere
giriamo in tondo senza
mai trovare il centro
sempre
lontani da noi siamo
sulla pagina del cielo una mano
d'aria scrive di noi
e delle nuvole
1.5.22
Dalì - Il cuore velato
do i miei "occhi" a quel che passa
in questo scorcio di tempo che mi resta
d’intenerimento
la stessa
luce la losanga sul letto
la goccia pendente
dal ciglio lo sguardo velato
ora come allora
quando
"morte ti colse fior
di giovinezza" scrivevo
ventenne o giù di lì
-ah ridicolaggini