sabato 14 maggio 2022

RECENSIONE SU IL CONVIVIO

 Gennaio – Marzo 2016 n. 64


Felice Serino, Frammenti di luce indivisa, poesie,


(ed. Centro Studi Tindari – Patti, 2015, pp. 122, euro 10,00)


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La silloge “Frammenti di luce indivisa” di Felice Serino, ha caratteristiche particolari: divisa in più parti rappresentative di tematiche complesse, richiede al lettore un’attenta analisi delle stesse, tale da tracciare il profilo dell’opera in maniera completa. Le liriche brevi, l’uso dei caratteri minuscoli, la mancanza del ritmo segnato dalla punteggiatura, rendono più efficace l’emissione dei sospiri dell’anima del poeta, che non si sofferma a pensare, ma si abbandona all’espressione catartica e liberatoria del proprio sé. Una grande amarezza pervade i versi in apertura, cosicché il lettore che ne codifica il senso, si sente coinvolto nella profonda tristezza del poeta che recita così: “la vita ha in tasca la morte / non è che un perpetuo / tramare / “cospirazioni” del nascere”.


Con questi versi, il nostro Serino inizia la ricerca d’appiglio di fronte al “buio” dell’anima che “… nessun canto d’angelo” conforta. Attimi d’angoscia attraversano il suo cuore, mentre con affanno, si chiede: “Dio / dov’era…”. Poi, chiuso “nel cerchio di dolore” esclama: “Padre perché mi abbandoni”. Ma nella sua anima, nutrita da principi cristiani, lo smarrimento è breve: la presenza certa del Cristo, “il Giusto” immolatosi per la salvezza degli uomini, lo invita a “rigenerarsi nell’urlo della croce”. Con ascetico slancio, Serino s’impegna a superare i tanti inganni degli uomini per i quali “di giuda è piena la storia…”, e accende la sua anima, attingendo agli effetti benefici della conoscenza che definisce: “il raggio verde”. L’uomo, afferma il poeta, cerca costantemente di uscire dalle strettoie del male e del dolore che lui stesso conosce e vive.


Il ritmo breve e incalzante delle sue poesie ha come linea conduttrice il percorso esistenziale dell’autore che, nel trascorrere del suo tempo, vede alternarsi la luce alle ombre. L’amore per la vita, apparso fievole e talora inesistente, riemerge nel poeta allorché esprime la sua meraviglia per gli occhi di luna di una bimba che non ha mai visto il mare, né ha potuto “restarne rapita / dal ricrearsi sull’acqua di riflessi dorati”. Nella dolcezza di pensieri nuovi, la morte non gli fa più paura “se il precipitare in se stessi è in vista di risalita” con la stessa certezza con cui (alla notte segue il giorno).


Il lettore si chiede cosa sarà mai mutato nella vita del nostro Serino se insorge in lui il desiderio di “riscattare le ali/…/ luce dopo luce /…”. Nel suo poetico andare ricordi e sogni s’intrecciano nella preziosità di momenti in cui il cielo, sua massima aspirazione, è sempre presente. Non mancano, tuttavia, momenti estatici nei quali lo sguardo si posa sul mondo dove tutto scorre come “Nuvole vaghe”, titolo emblematico di una poesia della silloge. Tutto scorre e, in natura, elementi diversi si fondono nell’evoluzione dell’esistere. Immagini reali e fantastiche e “voli pindarici del sognare”, hanno origine dall’uomo e sono dell’uomo, afferma il poeta. I versi di Serino, talora complessi, vanno interpretati dal lettore attento che saprà fare propri la personalizzazione di enunciati linguistici, l’alternarsi di elucubrazioni dolenti e di sprazzi di luce, l’uso frequente della metafora.

Adalgisa Licastro





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