poeti italiani e stranieri



Cesare Pavese


Tu sei come una terra

che nessuno ha mai detto.

Tu non attendi nulla

se non la parola

che sgorgherà dal fondo

come un frutto tra i rami.

C’è un vento che ti giunge.

Cose secche e rimorte

t’ingombrano e vanno nel vento.

Membra e parole antiche.

Tu tremi nell’estate.



ALFONSO GATTO




Fernando Pessoa


Ma,

senza saperlo,

ero di più.

Ma io, sempre estraneo,

sempre penetrando

il più intimo essere della mia vita,

vado dentro di me cercando l'ombra.

Non sono d'accordo con me stesso,

ma mi assolvo.

Benedetti siano gli istanti,

i millimetri,

e le ombre

delle piccole cose.



Lalla Romano


È donna


È donna l’erba,

che sotto la falce

s’affloscia e cade.

Donna è la vigna,

saccheggiata nel sole,

calpestata e spremuta.

Donna è il campo,

dove l’aratro affonda,

che s’imbratta di seme.

Donna è il mare,

perpetuamente vergine e infecondo:

donna è sterile luna, informe nube.


(da “Costellazione parallela. Poetesse italiane del Novecento”, a cura di Isabella Leardini, Vallecchi, 2023)



 Cesare Pavese


L’amore disperato verso tutte le cose


Ascolteremo nella calma stanca

la musica remota

della nostra tremenda giovinezza

che in un giorno lontano

si curvò su se stessa

e sorrideva come inebriata

dalla troppa dolcezza e dal tremore.

Sarà come ascoltare in una strada

nella divinità della sera

quelle note che salgono slegate

lente come il crepuscolo

dal cuore di una casa solitaria.

Battiti della vita,

spunti senz’armonia,

ma che nell’ansia tesa del tuo amore

ci crearono, o anima,

le tempeste di tutte le armonie.

Ché da tutte le cose

siamo sempre fuggiti

irrequieti e insaziati

sempre portando nel cuore

l’amore disperato

verso tutte le cose.


Cesare Pavese ( Il mestiere di vivere: Diário 1935-1950)



Bruno Lugano

(da Facebook)


12/11/2004


Da fanciullo mi sentivo bene solo come re, 

e ogni scena nel cuore ricopiava una reggia,

ogni alone dei nervi una cuccia tranquilla,

elevava il pensiero alla monarchia dei sensi.

Vivo sulla memoria delle ansie originali,

su castelli di nebbia rivestiti di sguardi,

visioni di dolcezze murate in educazioni incarcerate.

Nelle forme private delle visioni circolavano affetti solitari,

razionalità calde e severe di astinenze d’amore.

Ricordo le prime intimità delle impressioni con se stesse,

dolci insonnie giovanili immortalate dalla notte,

e valli volanti che costituivano il seno del cielo.

Però la gioventù eterna ha caratteri imprendibili,

e mille sogni per costruire una sola parola.

Al mio cuore innamorato regalo mille cuori distanti dal bucato. 

Credo che nel cielo ci sia una persona che volteggia,

virtù spasmodiche nel rosa generale del cuore,

nelle normalità di latitudini ritardatarie.

Dio appare come aria del mondo,

più aria del cuore,

nei sedimenti invisibili delle fiducie rielaborate dalla fede.

Dal guazzabuglio delle inutili emozioni si erge una identità totale.

Le mie agonie infantili hanno trovato una patria materna,

Non serve nemmeno un alito di intenzioni ormai,

perché è in me, vasto come la beatitudine,

qualcosa di intramontabile,

per allungare il verso.

Dio può fare dei nostri profili randagi 

una congrega di luci associate.


.

Poesie di Donatella Pezzino


Potresti


Potresti attutire il rumore che faccio

cadendo; con le mani invece

rabbocchi quello che non manca

e mi peschi a caso

dal sacco delle foglie. Ho voglia

di liquirizia: ma non ricordo più la strada

che porta alle tue tasche. Sotto la lampadina

a risparmio

si diventa letargici, ragionando d’uva buona

e del mare sotto i treni e delle lenti da lettura

che ti sperdi per casa. Fuori l’ autunno

ostenta certi fiori piccoli

che quando li calpesti fanno un silenzio

odoroso e impotente; ma tanto, mi dici,

verrà la pioggia a lavare via

la terra nera dal mandorlo


.



Linfa d’autunno

.

Foglia sgualcita, trasvolo lungo il fiume


dove l’acqua

ha le tue braccia, e un retrogusto


di lacrime mentre mi accoglie. E’ lo stato larvale

della farfalla che rientra nel bozzolo, e che s’appaga


d’ovattato niente, rinunciando alle ali che ha bruciato

tra il calore del grano maturato al gelo


e il profumo struggente di un giorno che non torna


.




Quando le ali cadono lasciano erba

smossa, e vuoti carichi di braccia


respirate nel punto esatto dove le mandorle

e i crisantemi si sfiorano, e si pensano uguali

tristemente


per aver dentro qualcosa

di bianco, quasi un vellutato

pianto


e non saperlo ricordare.



.



Ho amato


come si amano gli angeli: a metà. Un’ala spezzata

ha fatto da cornice. Forse avevo paura


di rimarginarmi presto – ed era terrore, il mio –


o forse temevo il logorio dei passi

su quel lungo tappeto disteso

fra la follia e l’abbandono.



.



Lentamente


Sola. Sono la piccola solitudine dei fiori

quando non trovano il vento alla giusta latitudine

da potersi dire carezza, olfatto, tintinnio di bicchieri; sono


la pioggia che guarda gli uccelli sotto la gronda

senza potersi fermare. Da questo cielo

continuano a passare

voli

mentre io continuo a cercarti a ritroso

seguendo il calco delle mie ferite.


Estate 1979


.



Quello che so


Non importa

se un fiore che appassisce fra le pagine

lascia un’ombra inodore che non scompare


se siamo tutti

strappi deliranti, nella tela antica

che un male oscuro corroderà in eterno


clandestini a tempo

in questa strana osmosi

fra l’infinito ed un pugno di terra


ti ho perduto,

è quello che so


e tu, caldo rifugio

odoroso di talco e di carezze

sei diventata il gelo di un vento che soffia


tutte le volte

che un angelo piange


2013


.



Non parlatemi


Il mio pianto è una strada che non conduce,

il mio bambino un fiore sparpagliato a terra.

Non parlatemi di angeli oggi,

né di quante volte io debba pregare.

Ho schegge sulla lingua che mozzano le parole

e odori di sangue che piantano radici nel mio orto.

Nell’aria che brucia seccano seni e fontane

ma non ho mai avuto tanto freddo come adesso.


2017


.



Samovar 


Mi spezzo

proprio ora che il vento si ferma:

ed è una morte

gentile, dove trapassano

i sogni, le rose, e le cose

perdute

che vedo solo io; e dove

amore

è un modo come un altro

per chiamare la solitudine


.



Non ti ho comprato le gerbere.


“Abbiamo colori bellissimi,

oggi” diceva la signora dei fiori.


Colori. Bellissimi.


C’era un azzurro

che tremava nelle ossa: inverno

e rimpianto. Giallo il polline

che il vento portava lontano

tra gli aranceti e il mare; dove la vita

ti urla negli occhi. E sotto

l’erba,

petali ancora freschi

che nessuno ricorda: il viola

delle cose non colte.


.


Donatella Pezzino, storica, scrittrice, autrice di testi poetici e recensioni. Si occupa di storia religiosa, storia e letteratura femminile, teologia cattolica, poesia, archeologia, arte cristiana, storia della Sicilia. Sue pubblicazioni e ricerche sono presenti su Academia.edu, oltre che su riviste storiche e letterarie. Collabora con il sito di attualità “Alessandria Today“. Sul blog del collettivo “Bibbia d’Asfalto“, di cui fa parte dal 2013, tiene la rubrica “Caffè letterario” sui poeti italiani dell’800 e del ‘900.


.

https://donatellapezzinosicily.wordpress.com/

https://www.giardinidipoesia.it/

https://stanzadeglispecchi.wordpress.com/






Poesie di Giovanni Perri



Uno che passa ride, ed apre il cielo;

santo e demone col cuore intrecciato  

a una sua tutta piovosa malinconia.

Sapergli il nome e la ferita, farlo cadere

nell'ago di aprile come un sogno.

Ecco con quale leggerezza il vento 

spiega un suo lucore alla notte, 

come gli riempie l'occhio la perla lunare.

Inganno adulto è questo non sapere

da quale feritoia cadrà la mezzaluce del giorno 

e dove infine apriremo al dolore la voce.


.




Avevo preso tutta l'acqua del fiume.

Il bicchiere era sul comodino 

insieme ai libri al termometro a una 

piccola macchia di sole wengè.

Come un dio avevo esclamato 

nella lingua sonnolenta dell'acqua 

e ogni mio giorno era finito dentro 

quel fondo dal quale bevevo

come da una delle 7 opere.

Ma dentro, soldati e cavalieri e angeli dalle ali plananti, residui e residui di luce

dentro ancora io era senza orizzonti, senza lamenti di navi greche o fenicie, pensavo un uomo in sè totale, del tutto assente, del tutto chiuso in un suo mondo ulteriore  

mentre dai labbri mi cadeva un albero maestro. ~Erano l'onde  

e le voragini buie 

e gli abissi labirinti a risalire

da tutti i miei mari 

mischiati.

               E invece con che suoni 

                dalla finestra il giorno

                  pieno di geometrie 

                  nell'azzurro ignaro

                          cantava.


.


Viene il pensiero di perderti talvolta

la sera è un posto girato nel sonno 

stare di guardia fiutare come 

dal picco di una brace la tua cena. 

Ma non lo caccio, gli tocco l'osso

del gomito, gli faccio fare il giro della casa

prima che dica è tardi vai a letto

e così vado 

a sedermi nelle sue occhiaie di marmo

nei suoi capelli così pieni di cavalli e canali

e penso che il tempo non passa, solo

ascolta gli spigoli e le buche

tiene girati i polsi sulla fronte.


.


Andiamo per similitudini, e sembra quasi di sentirci

in questa cosa che appena ci somiglia se ne va.

Pellicola del sogno, mia pellicana dolcezza

lasciati incorniciare da uno sguardo

di pietra viva, fatti gettare da Pirra e da Eucalione

nel mio cuore di latte e cemento e aspettami,

io sono il tuo medesimo furto di occhi e di lingua

nell’ora che agguanta e moltiplica ogni anelito andare,

lasciati nominare miscuglio di ferro e mistero

nel mio ottobre di addii smisurati

e piegami e svolgimi e ripetimi

del padre e della madre l'identica luce

che accende parola e rivela.


.


I° maggio


Attorno era la festa dei morti bruciati 

un riapparire dentro le forme del fuoco

ma sempre da un angolo nuovo

e ognuno aveva addosso la sua sagoma

e c'era sempre quel numero mancante, 

col pugno alzato sul fumo, a cantare.


.



Lettera ad una madre


E’ tempo di comprendere

che siamo qui a dividerci il pane:

scendo per dirti

che sono capitato per caso

e non ho ancora un nome:

qui si parla di niente

e la sera si contano i topi

ma in compenso non si vive male,

la gente passeggia e

sorride, una ragazza si sente chiamare.

Saluto te, madre

che mi hai girato le spalle

dicendomi di andare 

in ogni porto 

pregando

ed io per ogni porto 

prego

l’insurrezione e l’amore, 

ma sotto ho questo muro

impregnato di urina 

e mi gira la testa:

sto con questo animale 

e non parlo da giorni,

sento pian piano morire 

anche il lamento del mare.


.


Senza titolo


Impressioni

volano foglie d’oro, è il giorno degli avanzi di febbre, 

qualcuno posa le buste pesanti sull’asfalto, respira e riparte

portando con sé una scia di ricordi.

In alto danzano i lampioni,

sembrano corpi condannati a resistere

più che luce, lividi, persi nel tempo, sopra il primo strato del tempo.

La sera ha questa pelle spessa

un taglio che non sanguina 

una scritta sul vetro appannato, forse

questa è la vita, dico, 

un rumore lontano, qualcosa che sai 

sta nascendo.


.


Melancholia


li morti tra li vivi s’assecondano: 

si toccano le schiene stanno muti 

ne li occhi rimestano paura 

e paura li mangia

per fame, poco a poco: 

ma i morti sono morti di luce, ché luce acceca l’occhi e sfibra

e parola s’accampa 

legittima resa;

e più di tutto pesa 

del cuore allegrezza 

che è misura d’inganno e offesa.


.



Vorrei veder tramontare ad oriente

sul breve canale delle canne addormentarmi

sopra una scia di spari cacciatori

fuggire gli alberi a ritroso 

e la notte incendiaria sentire 

l'annuncio dei cani arancioni

vorrei nascondermi nel fieno di maggio 

nell'ampia volta del cielo che pende

sorridere per un ricordo 

invertir l'ombra mia stessa 

di lividi e dimenticanze 

e d'anni che non ritrovo più.

Ma d’ore numinose è fatta 

l’anima mia riflessa e d’archi e frecce, 

portami il cuore nella luce a planare 

sopra un acquaio di malinconie 

saltami allegramente sulle sponde 

della mia vena d’oro e scrivimi 

col vento ogni ferita 

degli occhi e della lingua 

io ti sono nel canto padre e figlio

e fratello dei cocci lunari

allora fammi terra

fammi profumo di terra e di stalla 

oppure scovami nella campagna ramata, raggiungimi

fin dove tocca l’erba la parola 

e non v’è peso

né formula dei miei destini accumulati.


.



Giovanni Perri (da Bibbia d'asfalto): https://poesiaurbana.altervista.org/author/giovanni-perri/


Il lettore deve sapere, leggendomi (leggendo questa non-biografia dalla quale estrapolo che nasco a Napoli e ci vivo col pregio d’arricchirmene fino a smarrirla) che un po’ della mia poetica (ammesso che sia tale) risponde al desiderio, non del tutto cosciente, d’allargare il mio ipotetico dolore,  la mia svagata gioia di vivere, e tutte le mie infinite miserie, ai piani più alti del sogno e della bellezza. Ogni poesia è un’occasione di sogno e di  bellezza. E la bellezza è un lavoro paziente di scavo. Io sogno di essere  archeologo e  scultore: levigo negli affanni e a volte mi trovo a scoprire che la vita  è un’invenzione  stramba dei poeti  che tutto sanno fare fuorché  vivere.

(...)

Poesia mimetica e riflessiva, umbratile, ritmica, geometrica; poesia lunatica, ingenua, scenica (mi piacerebbe fosse, se fosse veramente,  poesia) la mia.




Scelta di poesie di Angela Greco AnGre


Cinque poesie di Angela Greco da “PERSONALE EDEN”, La Vita Felice – 2015



c’è una strada che collega due attimi dai nostri nomi
materia inattesa che si dissipa ad un sorriso
distratto e malizioso questo battito di ciglia
differenza tra quotidiano e desiderio da attraversare
tra il bianco e il nero sfumati fino all’opera d’arte
ti guardo muovere il microcosmo senza regole sul tavolo
nasceranno nuovi silenzi e ritratti fermi tra le stelle
e dalla finestra tolgo limite allo sguardo profanando il cielo
sei tu stesso a crearmi figura fuori come fossi pelle
mentre sulla discesa ripida tra le ali catturo un bacio lento
e come faccio a dire della goccia che scivola alla tua voce
della capriola dello stomaco quando aspetto la luce e te?
ho dita tremanti che segnano un profilo nelle ore
[d’impazienza
e sembra rallentare il creato se non arrivi a segnarne il passo
ascolto sul petto sciorinando stupore al sole della tua schiena
e richiamo meraviglia oltre e più che le tue mani creatrici
ho un sospetto di sentimento che s’accorda al tuo nome
e vocali e voragini aperte nell’attesa di averti addosso
in questo momento sfuggito al caos di astri avanzati
trapiantati in tessuti sanguinanti affinché fioriscano aurore

*

raccontami la periferia delle tue mani
quando incontrano nude il nodo dell’universo
e risvegliano il senso d’essere donna e tua
segna a dito ogni confine e oltrepassalo
col tuo sapore poi sconfiggimi senza altra parola
che non siano nome e sorriso tuoi e ferma il corpo
contro me / seno di latte dalle vie colme d’azzurro
ti lascio scorrere caldo in questa terra bianca
come la prima stagione buona
in fioritura anticipata ad un respiro
nudi piegammo la schiena voltandola d’incanto
e tolsi fiato all’erba serrandola tra dita voraci
fino a diventare noi stessi il paradiso perduto
e questa volta fu il creato a chiedere di entrare
in noi
dalle tue natiche ai miei fianchi larghi d’attesa
bastò una voce e fummo ancora e nuovi

*

riprendimi esattamente da questo punto
quello in cui coloravamo il ritrovarci stretti
precisi nello sbottonare voglia e labbra:
tra le tue dita il mio dettaglio nascosto alza la voce
e fughiamo chiaroscuri di silenzi ormai altrove da qui
ché sappiamo adesso dove posare l’istinto incrollabile
ad afferrare e restituire duplicate ipotesi di paradiso:
ritrovami ancora umida meraviglia
che ho atteso leccando una ad una piaghe d’assenza
mancanza oggi risolta dalla conoscenza delle tue rughe
varchi di tempo narrato ai miei occhi e sapienza
di sapermi nell’intimo di un ancoradadire:
siamo distanti solo un bacio non di più
e questa attesa è solo il nostro abbraccio più lungo

*

nella cicatrice del giorno segno il tuo petto a passi di danza
sottile ci lega un’impazienza d’arrivare a sfiorare quella spina
che senza pudore preme a segnare di straordinario quest’ora
nel solonostro che ci invita ritroviamo carezze sospese
nella mezz’aria che sempre manca al saperci insieme
e confondendo baci a poche lettere riconosco il tuo sapore
d’immenso e d’albero fronde al vento dove riparare il battito:
sciolgo inattesa lode e tu raccogli trasparente silenzio
dalle labbra che nella tua direzione invocano mezzogiorno
e ad ombra zero penetra nell’ancora – ancora – da dire:
sosteniamo fieri lontananza fino al ritrovarci
ché nemmeno una sfumatura ci allontana dall’iride
custode preziosa di tutti gli argomenti possibili
sei tu il mio preferito
scrivendomi dentro percorsi d’azzurri insperati
oggi finalmente ha smesso di piovere
allacciando pensieri e gambe in questo letto

*

m’hai accarezzata a filo di voce o scrittura è uguale
hai acceso il brivido che si riconosce alla schiusa
nel frantumare istintivo il velo che ostacola vita
penetrando raggio incisivo di risurrezione
nel cavo d’un luogo troppo buio per vedere mattino:
caldo mi hai così avvinta fino alla resa in stelle
a trapuntare amplessi in universi ricreati
fragili per il troppo peso dell’ordinario sognare
ma necessari a chiamarci per nome o per mano:
il dettaglio della tua schiena mi stordisce
curva ad Oriente giorno in rinascita
ed io ultimo astro ne colgo il richiamo
nel sottoventre insperato dove nidificano silenzi
pas de deux le tue vertebre in arcuato canto
sospirano che t’avvolga di me oltre ragione





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Summer evening. La luce penetra la notte intorno.
Siamo notte e luce.
Animali ringhianti a guardia dell’umanità.
Il chiarore sulla veranda rivela un desiderio insoluto;
nell’attesa liquidi ci interessiamo delle prossime stelle,
impegnate a illudere romantici. Un fruscio dall’interno
scioglie incertezze. Ululiamo posati alla ringhiera. Accade.
.
Lo stiletto conficcato ossida il mattino. Al terzo intercostale
si risolve il dubbio e possiamo continuare. Lo strappo
rivela un volto sorridente sotto il primo velo di carta.
Si sovrappongono rappresentazioni e tempi e Mimmo lo sa.
Fuggiamo a Casablanca, a piedi, finché siamo in tempo.
Prenderò il porto d’armi soltanto per puntarti addosso
le canne del mio sovrapposto, oggi, che non sei più lo stesso.

da All’oscuro dei voyeur (YCP, 2019; prefazione di Franco Pappalardo La Rosa)


§

Nell’oscurità della propria insonnia
il turno, la chiusura dei conti, il ritorno;
in un silenzio asfissiante
si assottiglia il coraggio
e feroce svanisce l’illusione di riuscirci.
.
Qui non importa essere figlio di dio.
Il cielo è così distante da confondere idee
e la sera è uno stato permanente.
.
Il rumore della sopravvivenza
fuori da questo perimetro
ha qualcosa di conosciuto che
non si può più ignorare.

da Ancora Barabba (plaquette; YCP, 2018)


§

Il sole pendola a un’ora ferma sulla grave
a sud di primavera anticipata; una sequenza
di rotti vetri colorati e legni e un ciondolo
appeso alla cipria del cielo, sul collo di un
pomeriggio casuale. Claire vede il verde
di occhi echeggiare alla parete carsica;
meraviglie nascoste dietro fessure di silenzio
e gatti in bilico tra troppe vite. Un falco sorvola
il luogo del prossimo nido incurante della sera
incipiente e dei suoi colori. Giochiamo a dare un senso
alle parole, che ci fraintendono prima della buonanotte.
.
Si sfuoca in lontananza la visione e per oggi siamo
fermi in questo cerchio, affacciati a un balcone.
(inedito)
.

.

Angela Greco è nata il primo maggio del ‘76 a Massafra (TA). Ha pubblicato: in prosa, Ritratto di ragazza allo specchio (racconti, Lupo Editore, 2008); in poesia: A sensi congiunti (Edizioni Smasher, 2012; 2017); Arabeschi incisi dal sole (Terra d’ulivi, 2013); Personale Eden (La Vita Felice, 2015); Attraversandomi (Limina Mentis, 2015, con ciclo fotografico realizzato con Giorgio Chiantini e nota introduttiva di Nunzio Tria); Anamòrfosi (Progetto Cultura, Roma, 2017, prefazione di Giorgio Linguaglossa). Presente anche in diverse antologie e su diversi siti e blog è ideatrice e curatrice del collettivo di poesia, arte e dintorni Il sasso nello stagno di AnGre (http://ilsassonellostagno.wordpress.com/). Commenti e note critiche sono reperibili all’indirizzo https://angelagreco76.wordpress.com/




Scelta di poesie di Silvia De Angelis



COMPARSE ENIGMATICHE


Giocano utopie  di fiati ammansiti

nel moto effervescente di ragione

stondato da sintonie in contrasto.

Ingombranti macigni di piombo

accumulati nella stiva del pensiero

accentuano l'elusione d’ingaggi surreali.

Si mescolano a comparse d'amore che vanno e vengono

per poi dileguarsi nel nulla.


E’ in quel nulla che si perde il palmo della mano

inclinato di volta in volta in docili carezze

complici di profondi tessuti raddolciti da sguardi emotivi

rapiti da un silenzio sovrastante le stagioni 

capace oscurare il tempo del sole...


@Silvia De Angelis


.


VICINISSIMA


Quasi lacero

papavero

creatura asettica

friabilissima

d’un volo sgualcito

su argute dita di vento.

Assenza totale d’impeto

nell’enorme franchigia

dovuta alla natura.

Solitudine in spicchi di sole

nel vuoto che non è confine

ma il piegarsi 

a una ragione inamovibile

disarticolata

alla pochezza inflitta…

vicinissima alla mia cattedrale

ove non rivolgo prece….


@Silvia De Angelis 


.

https://quandolamentesisveste.wordpress.com/


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BELVEDERE DEL MATTINO


Ambiguità d’un dire giornaliero


erede d’un girone dantesco


esprime ombre di confine


su un vero dissociato dall’essenza.


Scaglie ingannatrici


e sfondi surreali


dilatano a forza l’entità d’immaginoso


scivolato su un’insensata deriva.


Si fa forte un’arte provocatoria e insistente


dedita a pregiudizi e finzioni


che irrompono nella loggia più intima


scomponendone  l’originaria l’identità


sul belvedere del mattino.


@Silvia De Angelis 


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PERFETTA MECCANICA


racchiusa nel perimetro


d’un estro personale


mosso da eventi inaspettati


a cui assoggettare il pensiero.


Si scivolerà


senza rumore


sulla linea del tempo


ignorandone gli oscuri echi.


Resi lucenti da un’accentuata suggestione


annulleranno briciole d’ombra di luna


sospinte dal soffio d’una presenza interiore


vacante nell’immenso infinito


@Silvia De Angelis



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https://deangelisilvia.blogspot.com/


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LA DESTINAZIONE


Nelle pulsazioni d’aria metallica


spulcio il tuo dire silenzioso


inteso come una sberla alla vita che accade.


Affilo gli occhi in caduta libera


sul tuo ego riciclato


da una quasi ibernazione voluta.


Gazzelle si muovono velocemente


fuori del muto dogma


senza raggiungere la traversa


che ti attraversa..


proseguono imperterrite la corsa


mutando destinazione….


@Silvia De Angelis


.


SIGNIFICANTE AFFINITA'


Insistente

si posa

nel mio segreto

il tuo affascinante vociare

racchiudendo

"inaccessibile memorandum"


Dischiuso

sfiora

magica

indissolta affinità

come seducente amante

che nel vuoto

accarezza

avita simbiosi con te...


...spezzata da un ambiguo tuffo

in un lago di cenere 


@Silvia De Angelis



https://deangelissilvia.blogspot.com/


.



Biografia di Silvia De Angelis


Amante di versi dell’immaginoso nasce a Roma Silvia De Angelis, sempre invogliata dal contatto con la gente per il suo carattere estroverso e comunicativo.


E’ affascinata dallo scrivere liriche e dopo un inizio poetico rivolto a elaborati dai toni “scarniti”, cresce notevolmente, modificando lo stile e delineandone il fascino, con scritti più congrui e completati da una struttura più armoniosa.


Gioisce al contatto con la natura, in tutte le sue manifestazioni, dedicandole svariati elaborati poetici,  in particolare, un volume, completamente riservato agli animali “CONOSCIAMOLI MEGLIO”.


Ne pubblica poi un secondo, intinto in variegate sensazioni dell’anima “CORALLI DI PAROLE INTAGLIATE COL FIATO” in cui si sofferma volutamente su tratti d’inconscio.


Ancora un terzo libro, stavolta in vernacolo, dedicato alla tradizione della sua città nativa, Roma, dal titolo “’N’ANTICCHIA DE’ ROMA MIA”.


Infine altri due libri di poesie variegate “INGANNI TRAVESTITI D’INCANTO” e “SCREZI NEL VENTO”.


Pubblica i suoi elaborati su siti virtuali, partecipando alla loro vita ed apprezzando notevolmente le opere di altri autori.

.


Notizie tratte da:

https://alessandria.today/2019/04/26/la-scrittrice-e-poetessa-silvia-de-angelis-e-una-nuova-autrice-di-alessandria-today/



3 poesie inviate da Fernanda Ferraresso



aveva barbe lunghissime

la notte  stanotte

e bargigli di luci insopportabili

il corpo della storia a pezzi lungo un fiume di fiamme

e la memoria come profondissime incisioni nella roccia

sulla superficie ruvida del volto degli uomini

niente aveva più un posto preciso

la lingua era un involucro vuoto

e la parola un frantoio senza  macine di pietra

si era sedimentato il mondo

tutto era residuo dentro un minuscolo

guscio di voce


*


le mura mi ricordo

gli odori rinchiusi

oltre le porte le chiese sature di incenso e fiumi

fiumane di odori

per le strade  di portici in corsa

erano scritture di un periplo lucente

l’oro delle mie giornate

da cui fu tolta giorno dopo giorno luce e

una guerra un poco per volta scoperta

dentro lo scorrere del tempo e lungo  il  filo

teso dalla Moira s’insediò dentro la pietra delle ossa

mutando la mia mente e la mia sorte.

Vinse alla fine  il nome della morte

senza gloria  e oscura cresceva come l’erba di ogni prato

l’orma di ogni passo.


*


chi sa

se si ferma sotto le nuvole o dentro

quei morbidi covoni di nebbia  negli alti accumuli di pioggia

non ancora seminatasi in terra

si spoglia    cedendo al vento ogni meraviglia

perché forse è così che poi

la parola perduta si ritrova e disegna

i prati con tutti i suoi pastelli e nel mortaio delle voci

caricando i pestelli dell’aria ingiallisce le foglie

incenerisce noi   con i suoi draghi e le  locuste

su tutto fa cadere la neve in tocchi di bianco ogni cosa sbranando

ogni cosa cancellando.

Chi sa se invece è come gli uccelli e si fa il nido sui rami più alti e poi

migrando in altra terra depone le sue uova sopra la testa di chi non parla la sua lingua.

Non ancora parola ma guscio di un calcare uguale all’osso

detta a ciascuno qualcosa e già dentro la bocca

lenisce del suo olio o ferisce di punta quel suo buio in chiaro

per troppa esibizione    per non mancare che di rado la sua preda.

.

fernanda ferraresso

3 poesie per felice serino (e-mail)


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Altre poesie di Fernanda Ferraresso


in ogni respiro sommerso un mondo

monologa tra le celle porpora una lingua 

che scrive e un'arca azzurra impronta

tra lo squero dei polmoni e gli attracchi degli alveoli

ere di fotoni quanti di cosmologiche invasioni

residenze di polveri e spore 

batterie di originali frequenze musiche

sonorità dei diari dove l'universo si compone

abitandoci

in continue manutenzioni di variabili 

in scritture e palinsesti di morfologie invisibili 

franando e ribaltando i suoi crinali 

in inedite scritture 

valichi innumerevoli di incessanti meraviglie


f.f.-SCRIVERE IL GRANDE VETRO 


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una notte di opale

liscia la parete del cielo un azzurro senza gradini 

o balconate di nuvole

l’infinito una lisca grigio azzurra di confine 

dove tutto precipita in mare o

in un enorme campo di schiume

e attraverso il profilo del vento scivola

su un immenso

vetro sporco di addii e assenze

non canti non segnature

nulla è tangibile e si è

immersi 

una pozza intraducibile

irreversibile un brodo quantico

in cui tutto fluttua espandendosi e contraendosi

tra vita e morte come dentro una placenta inquieta

si propaga e poi si rompe come un lungo budello

da cui entrano le stelle e suoni che sono solo vibrazioni

evasioni di diapason balistici che tratteggiano il cammino 

di arcipelaghi di galassie quasar onde di materia e non

materiali d'eco scandagli luminosi tra frasi di buio e monolitiche

evasioni di spore a cavallo di meteo-riti

smaltati di vuoto adamantino nuovo zecchino l'indicibile 

racconto di un neutrino in cerca di una culla

tra incredibili elogi di particelle e atomiche di energia  

gravi danze nel grembo dell'origine  al centro del pozzo

un cristallino limpido 

tuo occhio o

un cratere della luna in un mare di immenso 

dove nel vacuo una notte si tuffa nell'opale delle lacrime

come da un balcone sul mare 

come nel più fecondo oceano di fiabe

in un teatro di voci 

nelle trasparenze delle ere.


f.f.- SCRIVERE IL GRANDE VETRO


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Dire dire

dire bisogna sempre dire

dire tutto scoprire scoperchiare

anche l’infamia e forse più spesso la fame

che ci assale e ci divora che ci inchioda

alla paura di dire dove sta

la bestia che rimpolpa

lo sterco delle nostre ossessioni

la paura del diverso il terrore malcelato dell’estraneo

la stoltizia che raccatta la sua stessa misurata menzogna

l’isola il cerchio l’isolata furia

il volto della pietra ingoiato da medusa

e il torto e itaca e i viaggi

avanti e indietro dentro gli inferni coltivati

notte e giorno a ridosso della parola che ci crepa

la bocca e il cuore straripati in densità d’ansia

senza argini l’empietà si commisura all’assenza l’avarizia

che non vuole

condivisioni con nessuno.

Dire dire dire

come a voler testare la capacità di fare resistenza a noi stessi

a quella immune fragilità che non smette di doppiarsi

moltiplicarsi ferirsi e chiudersi

diramando l’ultimo proclama di silenzio

sancito dalla parola

la parola mai pronunciata

l’ultima esclusa.


f.f.- da L’isola e il cerchio- Terra d'ulivi Edizioni 2022


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Fernanda Ferraresso è nata a Padova nel 1954, dove vive e insegna in un Liceo Artistico. E’ curatrice responsabile del sito web Cartesensibili.  In poesia ha pubblicato le raccolte: “Migratorie non sono le vie degli uccelli” e “Ombre come cosa salda”, (ll Ponte del Sale).






Poesie di Ezio Falcomer


Chele d'amore


Sequele di aromi

umori estasiati

tutto mi porta

il vento di vita


un flutto sommerge

miei malati sapori


le chele del tempo

brezze sciupano e faville

al macero di gloria

di boria ostinata

ma non il cuore che ama


singulti di stupiti cantori

si diramano a radure


e l'amore è ormai

mio vizio e mia aria.



(Ezio Falcomer, “La vita picara”, Lanuvio RM, Narrativaepoesia, 2010)


.https://www.accademiadeisensi.it/2012/10/chele-damore-ezio-falcomer-la-vita.html



Prego le muffe


Del mattino io studio la freschezza 

e l’illusione, i promontori 

di parole vane, la gloria degli uomini. 

Della memoria i meccanismi 

sociali. Chiuso qui in convento, 

prego le muffe e i fantasmi 

del cuore, degli ancestrali volumi. 

Farnetico di spiriti, di oscuri 

sacrifici, di frutta lavata. 

Ho un’anima gentile e malata, 

ho i piedi nudi. Orecchie da sbarco, 

cervello svaccato, sogni. Ogni.




Zucche marce


A volte divento malato 

e amo i suoni 

della ferraglia arrugginita, 

dei cavi del tram che starnazzano, 

del fetore delle zucche marce. 

Amo il silenzio 

della folla distratta dai pensieri, 

delle vetrine 

imbambolate dall'attesa. 

Divento così malato 

che mi schizzo via 

da ogni orbita 

e il mio cervello 

è solo pieno di solitudine 

e formaggi stagionati. 

E non c'è un giorno da passare, 

ho solo bisogno 

di parole acide e convincenti 

e dell'eterno, 

come di una coperta slabbrata. 

Voglio cadere fuori dal tempo 

senza dare nell'occhio, 

facendo finta di sputare 

contro il muro.




Sei l'albore


Sei l'albore, 

Il turgido granturco, 

la viscera innamorata 

che mi conduce 

al di là del male. 

In te riposo, 

gioia e tristezza, 

indomito abisso 

io cerco, 

fine 

del dolore animale. 

Come un fiore, 

farmaco 

al mio essere scisso.




Sulla prora


Amo in questo

essere sulla prora,

in questo

sottrarmi al dolore,

aggiungere amore

alle radici dei fiori.

Alzo lo sguardo sul mare.

Linguaggio crittato

d’onde e spume,

illusorio sprofondare,

dimenticando la storia.

Senza più rancore,

né pirati,

né granchi dalle chele avvelenate.

L’oblio è lettura,

la lettura è preghiera.

Dimenticare sofferenza e fatica.

Nero silenzio abbacinante.




Macerie


E verrà il giorno in cui mi arrenderò,

camminando fra le macerie,

il cappotto rubato a un cadavere,

l'orecchio a un antica musica,

deposta la fatica detta vita.

Mi arrenderò e sarà un sollievo.

Avrò fra i denti

un sangue d'ironia,

il teatro emaciato,

silenzioso senza più bestemmie

e sudore di apprensivi guitti.




Ora di punta


È un'ora di punta come un'altra,

questa, delle dieci del mattino.

Mi dico: "Ho sbagliato tutto nella vita?

Forse dovevo arrendermi prima".

Ma i cieli sono in fiore

e le fogne emettono umiltà.

Dovevo fare tante cose

prima di arrivare a questo punto.

È accaduto tutto tanto in fretta.

Le stelle sono collassate

prima che io avessi il tempo di dire "beh".

Non ero preparato a nulla.

La vita mi è venuta addosso

come un treno.


https://www.alidicarta.it/autore/ezio-falcomer/testi#sc




Mi accadi


Mi accadi di meandri di baci

esulto in braci di averti

taci

svelami il dono di concerti sontuosi

di carne e d'afrori

assaggiarti d'amore

ah i tuoi sguardi

coloniali romanzi scabrosi.


(dalla raccolta "La vita picara", Lanuvio (RM), Narrativaepoesia, 2010, p. 105)


https://www.rossovenexiano.com/blog/ezio-falcomer/mi-accadi




Ezio Falcomer è nato a Concordia Sagittaria (VE) nel 1962 e vive a Torino. Lavora come insegnante bibliotecario e archivista nella Scuola Superiore. Ha un’esperienza di attore di prosa in teatro e in Rai, negli anni Ottanta. Dottore di Ricerca in Italianistica (1997), ha pubblicato Carlo Vidua. Un giovane letterato subalpino in età napoleonica (Alessandria, Dall’Orso, 1991) e altri lavori di critica letteraria su Camillo Sbarbaro, Eugenio Montale, Giacomo Leopardi, Carlo Goldoni, Voltaire, Piero Gobetti, Ippolito Pindemonte. Nell’aprile del 2010, Nerosubianco ha pubblicato il suo Vorrei vincere il nobel per la Fisica come Frank Einstein. Post comici, demenziali, ludicomaniacali. Nello stesso anno è uscita la raccolta poetica La vita picara (NarrativaePoesia, Lanuvio, RM) e nel 2012 Rottami d'oro (Ilmiolibro.it).


https://www.puntoacapo-editrice.com/product-page/luna-comica-ezio-falcomer






POESIE DI ALESSIA D'ERRIGO


Per l'amore che ho donato, mi donasti il mio destino

per le bacche che ho colto, una spina

per l'orgoglio che le mura impongono, un disgelo di beltade

un'ora di armistizio, di prelibata salvezza

per tutto quello che non sapevo e che non so

mi ci sono costruita piccole croci da abbattere

per quello che mi hanno fatto credere, io non sono più

se non acqua implacabile e sogni, piccoli cordogli

imbastiti a mano, sfibrati appena, a rimembrare la carne.

Ma io non sono, se non l'essere giunto alla deriva del Creato

partorito due volte, dalla madre e da sé stesso, e il terzo è

spirito santo che chiamano figlio, a lui spetterà il passaggio

di questo niente che s'affaccia dal davanzale, Egli, saprà.

Per amore che ho donato, per le bacche che ho colto,

per l'orgoglio che le mura impongono, un disgelo di beltade.




*



Come una rovina m'hai colta

con le parole che sedimentano nell'aria

dalla bocca, volando tra i rami, fosti

mangime per uccelli, conferendo il ristoro alle ali

solo con la tua bocca che si solidifica

pronunciando l'era infinita di ogni solitudine

massificata per sbaglio dal dolore. Come

dirti ch'è amore se preme schiacciando

il costato, se ingabbia ciò ch'è nato per volare.

Ma tu, no, tu parlami ancora dell'acqua, che al seguito tuo

la mia gabbia arrugginisce e nessuna chiava l'aprirà

più, nessuno, se non la pressione lacerante, del suono

che imponi.



*



Ero stata aperta al tremore delle ombre, le avevo

imbevute assieme al muro del pianto, forzando le

nari al respiro, m'ero tesa disperata e disponibile

alle tue mani, alla violenza del sesso, all'estremo

Iddio, alla sfrontata mia volontà d'averti, ho giocato

tutto, intera e spersa, sul letto, svuotata nelle membra

nascituro dei miei sogni, iperbole del creato, per

averti la mia ferita, il sangue ho stilato, sacrificio

santo per la tua bocca, indomita e indomabile,

arresa sul fianco destro, sul guanciale di pizzo

tra il profumo del tuo pozzo, ed io, pazza.



*





è uguale a me la mia metà, uguale, a risanarne i confini

simile ad un clavicembalo, la mia metà che conta tre

quella dissodata dalla vita che tuba con la chiave dei sogni

quella che si regge a stento sui fianchi, smodata, con le traveggole

la mia metà che si mette a tacere assieme ad una rondine

che salta da ramo a ramo e scimmiotta dio, che s'infoia

nel sentire assieme l'incanto e lascia cadere le rose dal grembo

la mia metà che piange e ride, e l'altra che tace.




*



Domani passerò sotto un arco di luppoli, andrò scalza, dissennata come al solito

raccolta nelle mie stravaganze e dissensi, bacerò il greve passo della terra,

l'interiora et parsimonia sua aspra astuta veritate. Il mio tunnel di ritorno che

domani sarà ancora domani e ci ripasserà la storia e gli avi, in processione

di lucciole, sotto il mio arco di luppolo fiore, ci passeranno in tre

patris et fili et spiritus sancti, a forgiarci bene nei corpi, saldi e stretti

in reliquia e riposo. Amen.


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Alessia D’Errigo (via e-mail)





PABLO NERUDA


Ode al lamento 


Oh bambina tra le rose, oh pressione di colombe,

oh presidio di pesci e rosai,

la tua anima è una bottiglia piena di sale assetato

e una campana piena di uve è la tua pelle.

Sfortunatamente non ho da darti che unghie

o ciglia, o pianoforti liquefatti,

o sogni che escono dal mio cuore a fiotti,

sogni polverosi che corrono come cavalieri neri,

sogni pieni di velocità e sventure.


Posso solo amarti con baci e papaveri,

con ghirlande bagnate dalla pioggia,

guardando cavalli cinerini e cani gialli.

Posso solo amarti con onde dietro la schiena,

tra vaghi colpi di zolfo e acque assorte,

nuotando contro i cimiteri che scorrono

in certi fiumi

con l'erba bagnata che cresce sulle tristi tombe di gesso,

nuotando attraverso cuori sommersi

e pallide ciabattine di bimbi insepolti.


C'è molta morte, molti avvenimenti funebri

nelle mie passioni indifese e baci desolati,

c'è l'acqua che mi cade sulla testa,

mentre mi crescono i capelli,

un'acqua come il tempo, un'acqua nera scatenata,

con una voce notturna, con un grido

d'uccello nella pioggia, con una interminabile

ombra d'ala bagnata che protegge le mie ossa:

mentre mi vesto, mentre

instancabilmente mi guardo negli specchi e nei vetri,

sento che qualcuno continua a chiamarmi tra i singhiozzi

con una voce triste imputridita dal tempo.

Tu sei in piedi sulla terra, piena

di denti e fulmini.

Tu spargi i baci e uccidi le formiche.

Tu piangi di salute, di cipolla, di ape,

di abbecedario in fiamme.


Tu sei come una spada azzurra e verde

e onduli quando ti toccano, come un fiume.

Vieni alla mia anima vestita di bianco, con un ramo

di rose insanguinate e calici di cenere,

vieni con una mela e un cavallo,




PIERO BIGONGIARI


Le parole dell’amore non hanno superficie

Il vento non si bagna in cima al mare

il vento azzurro non vuol diventare

verde, ingrommarsi, tergersi diverso

di verso in verso.

Ma le statue di sale che si voltarono

ora guardano il cosmo che non torna

caos ai loro occhi, se le fiamme

della bella città erano amore.

Mare asciutto… Ah staccarsi dal proprio essere

dove esso è più sottile, laminato

tra due bandiere: recto e verso, notti

e albe: le ere si congiungono

per disgiungersi, le ingiunzioni sono

le parole ora stesse dell’amore

da non gettare in aria, non potrebbero

tornare, il mare e il vento non si fondono,

o vuote, sopra il palmo alto del cuore,

moneta non impressa, non spendibile,

impronta cancellata dal suo fuoco.


Piero Bigongiari (1914 – 1997)





OCTAVIO PAZ

USTICA


Il susseguirsi dei soli d'estate,

la successione del sole e le sue estati,

tutti i soli,

il solo, il sole di soli,

divenuto ormai osso caparbio e lionato,

nubi tempestose di materia raffreddata.

Pugno di pietra,

pigna di lava,

ossario,

non terra,

nemmeno isola,

rupe dirupata, 

pesca petrosa,

goccia di sole pietrificata.

Di notte s'ode

il respiro delle cisterne,

l'ansito dell'acqua dolce

turbata dal mare.

L'ora è tarda e rigata di verde.

Il corpo scuro del vino

assopito nelle giare

è un sole più nero e più fresco.

Qui la rosa delle profondità

è un candelabro di vene rosee

acceso in fondo al mare.

A terra, il sole si spegne,

pallida trina calcarea

come il desiderio inciso dalla morte.

Rocce color zolfo,

alte pietre aduste.

Sei al mio fianco.

I tuoi pensieri sono dorati e neri.

Se allungassi la mano

spiccherei un grappolo di verità intatte.

Giù, tra rose scintillanti,

va e viene il mare pieno di braccia.

Vertigini. La luce s'inabissa.

Guardai il tuo viso,

mi affacciai sull'abisso:

mortalità è trasparenza.

Ossario, paradiso:

le nostre radici annodate

nel sesso, nella bocca sfatta

della Madre sepolta.

Giardino di alberi incestuosi

sulla terra dei morti.





Biagio Marin 

testo in lingua


Nulla è passato

e tutto vive ed è presente;

un cielo solo levante e ponente,

un sole solo mi ha illuminato.

I primi occhi che mi hanno innamorato

sono quelli che ora ridono,

e infinite onde

baciano giorno e notte il lido di Grado.

Ogni ieri è oggi

anzi è adesso,

ogni vento è il messo

di Dio, nel cielo di velo.

Niente mai muore

nel mondo:

uno solo, ma fondo

è il corso delle ore.

La mutazione origina il canto;

non aver paura di sparire;

dura un attimo il dí

ma è eterno l'incanto. (idem. il mutamento)




Anna Achmatova


Lascia che la luna tracci un arco nelle nubi serrate.

Lascia che il sole sorga domani con la bocca giallo

ocra stupefatta al rilascio di mio figlio. Fa che le sue

mani fredde e gli stivali distrutti avvertano il calore

della neve siberiana che si scioglie. Che questo applauso

si levi tra gli zatterieri adoratori dello stato,

i loro Dei dalla facciata di stucco dorato. Fa che Stalin

nel suo quartier generale ascolti chi sussurra

e fa che avverta l’eco di quest’applauso solcargli 

la cassa toracica. E fai sapere a lui, e agli agenti

che metteranno cimici nella mia casa di Fountain Street

che il salice argenteo della mia infanzia

si leverà di nuovo dalla sorgente della terra

e aspirerà queste acque di plauso. E in un giorno

che Dio manderà, con il vento lieve che varca gli Urali

verso Tashkent, non nenierà più, né più sarà imprigionato,

bensì ardente applaudirà con la foglia emettendo

spore che faranno levare dalla mia amata madre terra

gli scrittori con la libertà di esprimere il suo rigoglio,

o quella stagione incolore, senza la paura dei silenziosi

uomini silenziosi, con il 𝑏𝑢𝑟𝑟 di quelle loro seghe circolari,

a intaccare i tuoi rami che vivono, respirano, accrescono la vita.


da www.edizionikolibris.net

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MARIANNA SCAPINI


PER  ALLORA


Notti di fine estate pregne di acqua:

fui due occhi splendenti e infantili

accesi di buio e di pioggia.

Fui una morbida testa

in cerca di scatti maschili

e di battiti profondi

felpati, come la notte,

in una stretta calda, gelata al di fuori,

come la morte,

e bagnata, di nuvole dense

di foglie e di stelle nascoste.


Mai più, proiettata nella celeste

atmosfera di pensiero,

in cerebrali congiunzioni di segni,

nel mio solitario faro, e terso,

come l'inverno,

avrei dimenticato...

l'umbratile scossa animale

di sensi ansiosa cecità

viscerale, deliziosa

narcotica fitta di male,

dal profumo di terra.


Marianna Scapini

[da: Alla bottega, maggio-agosto 2009]




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SALVATORE QUASIMODO



Già da più notti s'ode ancora il mare, 

lieve, su e giù, lungo le sabbie lisce. 

Eco d'una voce chiusa nella mente 

che risale dal tempo; ed anche questo 

lamento assiduo di gabbiani: forse 

d'uccelli delle torri, che l'aprile 

sospinge verso la pianura. Già 

m'eri vicina tu con quella voce; 

ed io vorrei che pure a te venisse, 

ora, di me un'eco di memoria, 

come quel buio murmure di mare.





*


GIOIELLI RUBATI

(mie poesie scelte

per il Domenicale di amArgine di Flavio Almerighi)

https://almerighi.wordpress.com/




GEOGRAFIA DI GRAFFI


dirò di quella volta

che l’ondata mi strappò

come una gigantesca mano

dallo scoglio


pensavo fosse finita

mentr’ero sballottato

come una cosa


poi mi guardai

la geografia di graffi


e mi toccai

inebetito


Gioielli rubati 3





LUNGOPO'


noi due mi dici

siamo della stessa pasta

-quanto a me non so dire i difetti

la trave nel mio occhio


le anatre abboccano

le nostre briciole

tra dorati riflessi e giochi d’acqua


tu

ti mantieni bella e gli anni non sciupano

questa luminosità del viso


mi chiedo quanti inverni

ancora nelle ossa

che gemono nelle giunture


Gioielli rubati 5





ANGELO


angelo icona della volta

che mi vedevi da lassù

la testa all’ indietro

a contemplare i lineamenti perfetti


nei tuoi occhi vedevo palpitare

il cuore della Bellezza e

m’ incantavo


poi per paura

del male del mondo

la sera mi rifugiavo nel sogno

di te e toccavo il cielo


quando

dopo la mia accorata preghiera

venivi a visitarmi


Gioielli rubati 8





LA ROSA DI SANGUE


in sogno spio se 

riesce a passare "qualcuno" 

per la cruna

Dio non è stanco

mai dell'uomo


gl' insulti gli sputi

gli scivolano addosso

Lui perdona sempre perché "non sanno"


sempre viva è la rosa di sangue  

e splende di bellezza


Gioielli rubati 18




SAPREMO


sapremo - io di te tu di me dei nostri

scheletri nell'armadio

di ciò che non ci siamo detti

delle ammutolite coscienze nell'ora

alta delle scelte

dove si curva l'orizzonte dei pensieri


sapremo - non per speculum

in aenigmate: trasparenti saremo


Gioielli rubati 23






E OGGI CHE MI RITROVI UOMO FATTO


padre che sei rimasto di me più giovane

consumato anzitempo

una vita sul mare e le brevi

soste col mal di terra


avevi la salsedine nel sangue


così presenti 

mi restano le rare passeggiate 

mattutine e mai che mi avessi preso 

per la strada in discesa

a cavalcioni sulle spalle


di carezze non eri capace


e oggi che mi ritrovi 

uomo fatto

sai: mi fa male quel distacco


Gioielli rubati 24





Elegia


ora m’incolpi del mio silenzio?

e Tu dov’eri mi chiedi

quando a migliaia

venivano spinti sotto le docce a gas

Io ero ognuno di quei poveracci

in verità

ti dico

Io sono la Vittima l’agnello la preda

del carnefice quando fa scempio

di un bambino innocente

Io sono quel bambino ricorda

anch’io in sorte ho avuto una croce

la Croce

la più abietta la benedetta

ho urlato a un cielo distante Padre perché

perché solo mi lasci in quest’ora di cenere e pianto


Gioielli rubati 27





Anche per voi


salgo sulla croce anche per voi disse con gli occhi

rivolto a quelli che lo inchioderanno

anche per voi che ancora nei secoli

mi schiaffeggiate sputate

negando la vita buttandola tra i rifiuti

aizzando popolo contro popolo

sotto tutte le latitudini

salgo sulla croce anche per voi

che mi sprecate nelle icone

per voi nuovi erodi/eredi della svastica

che insanguinate la luce delle stelle

oscurando la Notte della mia nascita

anche per voi potenti della terra

razza di serpenti

che non sopportate di sentirmi nominare

dal mio costato squarciato fiumi di sangue

tracciano il cammino della storia

la mia Passione è un solo grande urlo muto

di milioni di bocche imploranti

dinanzi al vostro immenso Spreco

con cui avete eretto babeli

di lussuria come cultura di morte


Gioielli rubati 31





Qui ci sta bene uno spazio


ecco vedi

la poesia deve respirare

nascendo dal bianco

innalzarsi come

cresta d'onda per poi

immergersi fino allo spasimo

in profondità d'echi e ancora su

con lo slancio felice d'un

enjambement

vedi

la poesia è una tipa

selettiva

sfoglia scandaglia spoglia

immagini le riveste a sua

somiglianza

porta

sogni e nuvole al guinzaglio


Gioielli rubati 88





La casa delle nuvole


cieli d'acqua e cavalli

d'aria

lì custodisco ore

sfilacciate e segrete pene

-oh giovinezza di deliri e

notti illuni

lì dove il turbinio

degli anni

è rappreso in un palpito

che nell'aria trema


Gioielli rubati 92






Luna park


ride la piccola Margot

alle smorfie del papà che si rade

"suvvia ti porto alle giostre" e

lei s'illumina di gioia e

poi a cavalcioni sulle larghe spalle

nella fantasmagoria delle luci

un po' ci si attarda

nell'aria ancora calda di fine settembre

riverbera una miriade di

stelle negli occhi innocenti

mentre le nasconde

il resto del viso una montagna

di zucchero filato


Gioielli rubati 93






Spleen (2)


lo scoglio

e tu

come un tutt'uno

quasi sul ciglio

del mondo avvolto

in una strana luce

labbra di cielo

questo

contatto di sole

vedi nell'aria

marina

un gabbiano planare

su una solitudine

che ti lacera

all'infinito


Gioielli rubati 106





Le vele del sogno


me ne andrei quasi di soppiatto

alle prime luci

mentre si fredda la tazzina

mai portata alle labbra


entrerebbe il vasto orizzonte

nei miei occhi azzurrocielo

il mare aperto

nell’abbraccio

delle vele del sogno


Gioielli rubati 123




L'ombra 2


meridiana a perpendicolo

poi eccola s’allunga

l’ombra oscuro specchio

che mi ripete

si spezza allorché riflessa

tra pigre nuvole nel lago


Gioielli rubati 124





L'albero di Giuda


tagliando per la pianura

non trovavi più il cuore


sulle punte delle stelle ti volevi 

trafitto

e il sangue quasi ricamasse 

una scritta ingloriosa


ma il tuo albero

ecco venirti incontro


e già il cappio

vederlo

-sinistro


Gioielli rubati 131






Cavalli di nuvole


i primi smarrimenti: quando ti sembrava

dovesse cascare il mondo

-disegnavi angosce o voli

pindarici nell’aria


da una feritoia ti guardava

un pezzo di cielo

-tu ragazzino -ricordi-

rifugiato in una baracca

a smaltire l’ “onta” di una derisione

non sapendola costellata di prove

la tua stella


intanto

cavalli di nuvole

a sequenza

dicevano la vita leggera


Gioielli rubati 140




Fedele alla vita


mia vita

senza rete t’appigli

alla Bellezza intaccabile


a quella del cuore e alle

armoniose figure della danza

o del cavallo nel bianco salto


finché ti chiedi dov’è

lei l’ irraggiungibile

non tutto è perduto


voltato sei sul giusto

versante lucente ancora

una volta – vita


fedele alla vita


Gioielli rubati 160





Avevo in mente una poesia


stamattina avevo in mente una poesia

stasera

non ricordo più nemmeno un verso


ho lasciato il foglio bianco

con flebili echi d'un mezzo secolo e


ora rammento solo una pioggia di luce

di stelle sopra il letto 

e il caldo abbraccio di lei


sullo schermo della mente

un vissuto che sembra ieri


Gioielli rubati 167




Ai piedi della notte


un nodo d'inquietudine sospesa

si scioglie ai piedi della notte

sotto una luna ammiccante

l'amore è come l'ansimare del mare

s'abbevera del sangue delle stelle

aduna in sé il sentimento del tempo

vòlto dove è dolce la luce


Gioielli rubati 178




Emarginato


quest’uomo: tristezza

d’albero nudo

avanzo di vita aperta

ferita


-occhi scavati

che perdono pezzi

di cielo


quest’uomo

puntato a dito

quest’uomo fatto

torcia


per gioco


Gioielli rubati 184




La luna dei poeti


ho la luna dei poeti

-pesci sull’ imum coeli–


scivola

la barca della passione

verso terre di mistero


pesco sogni di ragno

nell’ intreccio di parole

nate sulla bocca dell’ alba


mentre

uno sbuffo di vento

porta afflati d’ amore


Gioielli rubati 190




Dei miei detrattori


(Diocleziano, uno dei più odiati della storia)


lasciai alla terra il corpo-zavorra

da cui forse con sollievo mi trassi


se sia ala d'angelo a coprirmi

il disonore -si dirà- ora che

s'una misera tomba s'accanisce

dei miei detrattori il ghigno

feroce e lo sputo


Gioielli rubati 195




Il mare era una favola


"non vorrei più uscire da questa

dimensione eppure basterebbe

come altre volte

stringere forte gli occhi e..."


ma voglia non ne avevo  - poi giocoforza

mi ritrovai quasi deluso nel mio letto


avevo lasciato un mare che era

una favola

un'immensa tavola

imbandita per i gabbiani a frotte


Gioielli rubati 204




Spleen 4


brusio di voci


galleggiare di volti

su indefiniti fiati


si sta come

staccati

da sé


golfi di mestizia

mappe segnate

dietro gli occhi


vi si piega

il cuore

nella sanguigna luce


Gioielli rubati 210





La colpa


sono io quel ragazzo che

scappò da casa con poche lire in tasca

e un quaderno d'improbabili versi?


lo sono sì ma dopo sei decenni


non mi riconosco in lui se non nel sogno

ricorrente che al mattino mi lascia

il cuore stretto dall'angoscia


sarà un residuo di "colpa da espiare"

per aver procurato un veleno sottile

a chi bene mi voleva 


Gioielli rubati 215




Creatura


sembra che il solo sguardo

la mantenga in vita

la sua creatura


ché Lui la pensò

ancor prima di sognarla

in forma ed essenza


poi del sogno

il suo farsi

carne e respiro


Gioielli rubati 222




Non sei dei loro


nel chiuso della stanza o

di pomeriggio nel sole

da un po’ ti sorprendono

a parlare coi morti – questi

non tornano e tu non sei

dei loro -ancora-


sono spirito (ma di essi

poco si sa) -ubiqui

ti leggono il pensiero e a volte

giocano con le nuvole – quando

nelle tue pareidolie

ti pare ravvisarli


Gioielli rubati 228




Dammi cuore (preghiera)


dammi ancora tempo

tempo per sognare

altre vite 

tempo per 

arcobaleni e luce e voli


e che io fedele sia

alla verità


alla fine 

dei giorni che non debba 

vergognarmi di me


dammi altro tempo - dammi 

dolore

per gli ultimi

dammi cuore per gli ultimi


Gioielli rubati 236




Di noi

.

di noi

mostriamo esigua vita

più l’esteriore che

quella che ferve nel sangue


i viaggi mentali i sogni

mistero ch’è appannaggio

di proprietà esclusiva


-la testa reclina

il nostro fido ci guarda attento

come cogliesse pensieri


.Gioielli rubati 247




Fogli-aquiloni


impregnati dell’humus dell’estro

del vasto respiro di cielo

svolazzano s’impennano appena

liberati dall’artefice dei versi

-suoi non più suoi-

a volerli divulgare per il mondo


Gioielli rubati 254





*

Apro questa nuova pagina con una sezione della mia voluminosa raccolta in fase di pubblicazione: "La vita immaginata".

maggio 2023


.


Versi per Nina



sento la vita quasi fosse


apparenza in vaghezza di sogno


l'anima è spersa dove fitta


trama d'ambiguo s'incaglia


ah le uve dei tuoi occhi: uno spasmo


di luce una spina nel sangue


e quel sorriso – oggi


che mi sorprendo a inseguire ombre


in cerca del tuo profilo –


mi si trasfigura in un graffio


difficile da decifrare


*


la mano disegna nell'aria


il tuo profilo indugia


su bocca naso e occhi


la mano della mente ben conosce? ?


quei dettagli come una madre – Nina


stella del cielo che mi cammini nei sogni


ora sono aghi


che trafiggono


nell' accendersi nel sangue


la mai sopita passione


mentre la mente disegna


dove fermenta il cuore


*


silenzio allagato di luna – una


silhouette nella mente ondeggia


e gli arzigogoli


a dirmi vano


il ricordo sgualcito dal tempo


dalla foto color seppia


mi guardano


i tuoi occhi velati di mestizia


-ah l'assedio degli anni


e il cuore


a dare smalto a un sogno sbiadito


*


donna dei boschi: occhi


di cerbiatta – la tua


anima di foglia


di sé m'innamora


*


entro ed esco dalla tua anima


dove dimorano pezzi di me


un odore di pini ci avvolge


– certo lo senti anche tu –


i nostri passi sul viale accecato di sole


un grido di gabbiani e l'ascolto


del mare in una conchiglia:


questi i momenti


d' incantamento


fermati dal nostro amore imperituro


*


rosa il tuo fiato


fragranza di bosco la tua pelle ambrata


apparivi sirena


distesa s'uno scoglio


allucinazione forse


mi facevi un cenno


mentre il cielo s'apriva in una luce


aurorale


come il tuo sorriso


*


sparire nel nulla


è l'urlo della rosa strappata


da mano indelicata


consola a tratti un palpito


di luce selenica


che abbraccia il ricordo


ravviva empatie


gentile il velo spiegato


dell'angelo


su un lato del cielo


*


forse solo nell' oltre saprò


si scioglierà l' enigma – e intanto


i tuoi modi garbati che ritornano


nella camera viola della mente


mi sorreggono per il tempo a me concesso


mentre perso sono


nel perimetrare il vuoto che lasci:


un' ombra feroce


mi strappa all'abbraccio del sangue


il buconero risucchia


presenze umori respiri


non il tuo garbo che in me


non si cancella


*


non ti vedrò più Nina


se non in vaghezza di sogno –


oggi mi nutro come un passero


dei tuoi scritti di luce che aprono


su universi solo a te noti


e che forse ospitano la tua


essenza mentre mi appare


delinearsi il tuo volto


in una nuvola vagante


in questo cielo bianco di silenzi


*


e tu a lumeggiare le mie sere


anima di candore e di sogno


si fa conca il cuore


ad accogliere


dei versi dettati da un altrove


*


l'anima tendeva alle stelle


quando tu Nina apparivi


rosavestita


stagliata contro un lembo di cielo


ti fermavi nella piazzetta e


ti facevano festa i colombi


planando sul mangime che spargevi


allora


il tuo sorriso era una pasqua


mentre il tempo aveva una sosta


*


dimmi Nina: che vedi


tu che hai casa nelle nuvole


tu che sai il linguaggio dei voli?


forse


la giovinezza spezzata


che ora in lampi di déjà vu ritorna?


o


rivivi nel cuore


verde dell'acqua


che ti vide sirena emula del canto


di odisseo


rapimento


dei sensi


che in sogno ancora mi seduce


*


ahi i ponti sgretolati


o pure considera quelli


detti collanti di carne e di sangue


e il desiderio che


si fa arco d'amore


filo teso d'acrobata


all'altro capo sei Nina


e mi vedi adesso


varcare fra nuvole in sogno lo spazio


di un volo fino alle tue braccia


*


il tuo volteggiare Nina


nelle stanze viola della memoria


– dicevi il reale non è fatuo


apparire o entrare nello specchio


dell'essenza evocando


palpiti di luce


di un tempo senza tempo


noi dal celeste palpito


dicevi – qui siamo


affratellati nel sangue


con la terra e la morte




© Felice Serino



Afrodite - William Adolphe Bouguereau

.



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