un’alba cadmio
apre spazi
inusitati nel cuore
usciti dal sogno
beccano sillabe
gli uccelli di Maeterlinck
in un cielo di vetro
da un luogo non- luogo
le uve dei tuoi occhi
chiamano il mio nome
genuflesso nella luce
un’alba cadmio
apre spazi
inusitati nel cuore
usciti dal sogno
beccano sillabe
gli uccelli di Maeterlinck
in un cielo di vetro
da un luogo non- luogo
le uve dei tuoi occhi
chiamano il mio nome
genuflesso nella luce
Questa silloge di Felice Serino si apre con la grande speranza rivolta all’Impossibile, a ciò che sta nel cuore di ogni poeta o artista in genere e che si può solo immaginare e tradurre in parole, in opere, nella piena coscienza, alla fine di ogni creazione, di avere prodotto qualcosa d’incompiuto, infinitamente distante da quell’orizzonte dal quale scaturiscono le idee e che non si concede allo sguardo orfico, sognatore e innamorato del volto inguardabile: non per espresso divieto ma perché ineffabile e perdutamente consegnato alla notte, in un altrove che il nostro poeta s’illude di cogliere e dove spera di “abitare” attraverso la parola, quella poetica, sottratta alla quotidianità, all’“ordito della vita” e “fuori dal coro”, non soggetta al sistema arbitrario e convenzionale dei segni linguistici. In virtù di questa parola egli ha la vaga sensazione di ri-trovarsi in qualcosa di perduto e che sente “palpitare” dentro di sé, nell’intimità, dove gli è data la possibilità d’intuirsi, di guardarsi dentro e venire fuori, aprendosi a sé stesso e in questa apertura sentirsi prossimo a una verità che gli riveli la sua appartenenza a un altrove, a un mondo distante e diverso da questo in cui siamo gettati e che, al di là dell’«esser-ci» heideggeriano, gli dia la coscienza della vita autentica indipendentemente dall’«essere-per-la-morte». Perché è nell’intimità, dove accade il miracolo della creazione, che sorge la possibilità di agire attivamente contro l’irrazionalità e il vuoto, contro l’insensatezza e la nullità dell’esistenza, di distaccarsi dalle cose materiali e lottare per costruire un mondo migliore sulla Bellezza, su quel qualcosa di sublime che si manifesta restando nascosto e che ha il nome di Poesia. Di fronte al Meraviglioso, che si annuncia nella parola creatrice come orizzonte perduto, “tutto è ancora possibile” per Felice Serino, perché questa parola, a differenza di quella che si spezza contro la quotidianità e la realtà contingente, ha il potere di legare il suo mondo interiore all’oltre, sì che egli si sente rovesciato “come un guanto”; perché essa allontana e disperde ciò che, divenendo, è destinato a perire e mostra la vera natura delle cose, la loro essenza immutabile ed eterna.
“ti senti altrove e il più / delle volte fuori dal coro / ti chiedi se - nell’ordito della vita dove / si spezza la parola - ti sei perso / qualcosa - vorresti allora / rovesciarti come un guanto / riconoscerti come il / fuori del tuo dentro / aprirti a un’alba che / diradi questa / corolla di tenebre/ e sai che tutto / è ancora possibile”
Essere nel mondo, allora, significa per Serino opporre alle difficoltà contingenti della vita, all’angoscia esistenziale per la crisi profonda della società mondiale che sembra segnare il tramonto dell’umanità, il sentimento per ciò che è duraturo e, in quanto tale, portatore di una verità eterna in grado di aprire in interiore e in virtù della poesia quegli «orizzonti di palpiti» che sono espressione del suo stato d’animo particolare nell’atto della creazione, in cui lo sguardo e il cuore si cor-rispondono e si coniugano nella visione sinestetica, che è insieme immaginazione e sentimento, da cui sorge la parola poetica come l’alba, la quale è il pallido riflesso della sorgente, la possibilità e l’illusione di cogliere l’Impossibile negli “orizzonti” che essa apre al nostro poeta, suo sognatore fedele e innamorato. E quest’amore per la Poesia, per la Bellezza, che è ricerca della Verità trascendente e che si traduce nella scrittura, nel bisogno di dare forma a ciò che gli “palpita” dentro, è per Serino, ancora, un modo necessario di essere nel mondo, di dare significato al relativo/immanente, di valorizzare la dimensione umana rapportandola a quell’orizzonte assoluto di senso che è l’Essere divino.
“Tutto è possibile” nel sogno creativo e tutto è illusione, “stato d’incantesimo” e “delirio / che sanguina luce”, “breve estasi-amara / al risveglio”, quando le parole, “sillabe cadute dagli occhi”, lasciano il buio nell’anima e nuda la vista, ingannata dalle belle figure di suono e di significato: gli «allucinogeni» che catturano gli occhi, il cuore e la mente, protèsi e uniti nel vagheggiamento di un “cielo inventato”. La caduta dal sogno nella realtà non scoraggia il nostro poeta, non blocca i suoi tentativi di oltrepassare la “siepe”. In sostanza, la possibilità di giungere “nell’Oltre” non viene mai meno perché essa è il connubio di fedeltà e amore; è l’espressione del legame tra l’immanente e il trascendente, tra l’umano e il divino, tra l’interiorità e l’alterità, tra il «sé» e l’altro da «sé», tra l’«esser-ci» e l’oltreità, tra gli “orizzonti di palpiti” e l’impalpabile «oltre», il quale è principio e fondamento della nostra vita che un giorno ci farà “colmi / di lucente meraviglia noi resi/ impalpabili / essenze e vieppiù reali / tanto che ci parrà un sogno / l’aver attraversato / nella carne la morte”, e tuttavia “nel circolo del sangue / noi in bilico / un piede nel mistero”.
«Si può» in virtù della poesia “trasumanar per verba”. Perché essa ci fa beati essendo grazia divina, per cui basta l’“erba miracolosa” della sua parola a proiettarci oltre la condizione umana e dare significato alla nostra esistenza. Perché essenziale è questa parola “nutrita del sangue degli dei” e perciò vitale, sempre pronta ad aprire gli “orizzonti palpitanti” contro i “chiusi orizzonti” del “progresso / dio-boomerang”, nonché in grado di contrastare, di contenere tutto ciò che deturpa la bellezza, di farci ritrovare “nel bailamme di giorni a perdere”, dove vacilla la certezza di esistere, di essere reali, e col dubbio sorge la domanda se siamo “quasi finzione o sogno”, consegnati e dis-persi nel “virtuale”.
“Tutto è possibile”, “tutto / può ancora accadere”, perfino di scoprire, al di là delle evidenze, delle assodate certezze, “quell’essere consanguineo / con lo spirito delle cose” e comprendere che apparteniamo alla totalità che non lascia nulla fuori di sé, che siamo tutt’uno in virtù dello Spirito unificatore. Allora “l’impossibile si fa / possibile” se non restiamo inerti e confidiamo nell’energia della parola poetica; possiamo tornare a stupirci di fronte a “ciò che sembra / umanamente assurdo”, perché anche le cose hanno la loro epifania e rivelano la loro vera natura al poeta nel suo stato di grazia. “Tutto è possibile”; solo resta il mistero dell’oltre, della verità ultima, irraggiungibile, preclusa allo sguardo e perfino al linguaggio poetico, perché la Poesia stessa è mistero e Parola ineffabile. La conoscenza dell’origine non è di questa vita; solo nel mondo celeste la verità impenetrabile ci sarà rivelata; l’oscurità sarà dissolta e saremo assorbiti “nel mistero lucente” del Tutto, avvolti nella “bolla / di un tempo non-tempo / come nella prima luce” e, dunque, non vedremo più “per speculum / in aenigmate”. Qui, nel riprendere le parole di S. Paolo1, la fede di Serino e la sua visione religiosa sono ampiamente dichiarate. Religiosità e misticismo sono tutt’uno col suo pensiero poetante, volto alla visio beatifica di Dio, del quale la poesia rivela la presenza nella profondità del mistero. E Dio si fa “presente” nelle parole che il Poeta Gli fa pronunciare e che testimoniano ancora la sua fede, la certezza di riuscire a sopportare, a dimenticare i mali terreni, nonché la speranza nella salvezza dell’uomo, al quale il Signore non farà mancare la sua misericordia e carità.
“(…) e come può non accoglierti la luce / se tu da questa hai origine? (…) dimentica / i bianchi deliri della solitudine / i voltafaccia dei giorni perduti / dimentica / come io ho dimenticato / sulla croce” (“Dimentica”)
“(…) Dio non è stanco / mai dell’uomo” (“La rosa di sangue”)
Le virtù teologali, che troviamo qui implicitamente espresse, assicurano al Nostro di essere accolto nella luce, la quale è la loro emanazione e il frutto della contemplazione mistico-religiosa e poetica al tempo stesso. Perché la Poesia è per Serino conoscenza ‘visionaria’ superiore a quella empirica. Gli “orizzonti di palpiti” sono mondi spirituali, stati di coscienza, “squarci / di vite trasversali / realtà sfumanti / nel mistero” che si aprono a una più completa conoscenza in virtù del legame tra l’interiorità e la suprema realtà spirituale. Attraverso la poesia il Poeta partecipa della divina visione, distoglie il pensiero dalla morte e lo rivolge dove “c’è del buono che ci salva”, dove è ancora possibile incontrare un sorriso e godere della natura. Ma è nella Verità oltre la morte la vita autentica; nella sparizione, che è il ritorno nella luce, dove siamo già stati, si compie il destino dell’uomo, si dissolve il mistero, e allora «vedremo faccia a faccia», sapremo chi siamo stati, chi veramente siamo. Di ciò è convinto il Nostro, perché la fede, sostenuta, suffragata dalla poesia e dall’amore, quello che “si scrive col cuore”, vince su ogni dubbio. Ed è in forza di questa certezza che egli può asserire ancora con S. Paolo2: “sapremo non per speculum / in aenigmate (…) allora / conoscerò / come sono conosciuto”. Solo allora la domanda sull’«essere» sarà soddisfatta. Oltre lo specchio del sogno la Verità mostrerà il suo volto, e il Nostro, come Raffaello rapito “davanti agli ultimi ritocchi” della “Mater dolorosa et Admirabilis”, contemplerà la sua Vergine: la Poesia che qui, in questo mondo, gli è concesso solo di sognare.
Guglielmo Peralta
le cose
mi chiamano e la morte
è lontana
vastità contemplo
l’anima
è il verso del gabbiano
nel lambire l’ onda
scrivere con la luce
la vita la morte
vestire di primavera i gigli
non così l’uomo
dal suo primo apparire
preso nel vortice
delle cose
egli scrive su sabbia l’avere
-nel cuore la paura
del bambino
Cano Cristale - Columbia
ed è pleonastico il tuo dire
i tempi son cambiati e
alle piante seccano
i timidi germogli
i pesci son gonfi di plastica e
i cieli di cenere
e i mari piangono coi miei occhi
lasciare parlino i fatti
se voce avranno
in una -lesta?- inversione di tendenza
era solo un sogno - sarai
come la moglie di Lot mi disse
se indietro ti volti
accondiscesi sebbene
controvoglia: ribellione mi
corse nel sangue
altri vedevo passare
per la via della prova
ora tramutati in statue - che prima
di me ridevano
scrivo sull’arcobaleno
dove il mio angelo è assiso
in veste di musa
egli mi suggerisce parole
macerate nel sangue
che mi si nascondono
alla "vista"
a volte dall’arco-
baleno cade una sillaba
ed io la recupero
riprende vigore
all’angelo traspare un sorriso
che si fonde col mio fiato
Col tratto suo solito, con la materia nuda dei versi alti e alati, Serino ci incanta di nuovo. E lo fa con un volume, il suo ultimo, corposo, "Vita trasversale", che è un ben calibrato campionario di temi e motivi caratterizzanti la sua intera produzione poetica; ricca e profonda, tenuta in un suo prezioso tenore lessicale di figure svelate in altezza o come prelevate da un occhio ulteriore e quasi sempre girata nell'inconoscibile. Poesia che ci trattiene in un sollievo, oppure in una morsa, di grandi domande e di incognite. Agevole nell'andatura e nel respiro dei versi concepiti come in una stanza piena di sole, ma dalla cui finestra filtra un paesaggio piovoso, pieno di suoni incantevoli e sinistri: analitica, ma detta in stato quasi d'abbandono. Motivi di vita e di morte messi nel medesimo grandangolo, restituiti al loro più sensibile grado del sentire, in quel confine di corpi corrotti dalla loro stessa immagine; che allunga gli abissi mondani potandoli alla visionarietà più lirica, alla più ampia cosmogonia; ma è materia che vibra di una intimità pura, cogente, covata in un suo lembo etico, in una sua calma affezione di gesti e parole dettate da Amore. Parole levigate e vive, messe in versi come a mani giunte, piene di abbagli tuttavia improvvisi e rivelatori.
C'è un mondo di forme dette al limite dell'ombra, un buio di acque sconosciute da sentirne il suono lontano. Serino nuota come se volasse campi e fiumi e con lui stelle a far luce di parole, sotto un silenzio grave di vita. Ed è come trovarsi innamorati inaspettatamente, aver fiutato il senso in bilico e tirarselo con una corda, ad ogni strappo un grido d'amore, una preghiera di livida sopravvivenza, ad ogni affanno un seme di luce da salire in dolcezza, rimanendo con la voce nell'acqua.
E questa è acqua filosofica, tenuta in un suo denso nucleo lirico, in una sua mistica malinconia.
Ecco: qui stanno gli affetti, i ricordi, ogni piccola gioia terrena; qui è il teatro del mondo, il gioco che si gioca per fame e per sete: qui è l'ora dei ricami nel fuoco, di vecchie controversie e comunioni, di silenzi tenuti in una sacca di odio o di amore. Ma dopo, oltre, è l'aria dorata che viene per svelare il sogno, l'arcano che ci muove le ali, la forma tutta del cielo esplosa in una piccola divinazione.
Un pianto, par d'udire, di muta intelligenza: pensiero della morte sorella, felicità o speranza di pioggia rigeneratrice. Pensiero della vita che si espande ben oltre i suoi torbi furori: terragni infine, ma ubiqui, appunto: trasversali, pieni di un sole leggero.
Quanta preghiera nei testi di Serino. Quanta alta Poesia.
Giovanni Perri
.
Piccola scelta di testi
*
Sic transit
confidare
nelle cose che passano
è appendere la vita
al chiodo che non regge
è diminuirsi la vera ricchezza
-arrivare all’essenza
lo scheletro la trasparenza
*
Espansione
il sogno è proiezione? o
sei tu in veste onirica
uscito dal corpo?
sognare è un po'
essere già morti
come
nell'oltrevita
e l'essere si espande
si sogna moltiplicato
in fiore atomo stella
appendice? o
espansione è il sogno?
*
Vive una luce
vive nell'akasha una luce che
custodisce quel mosaico che dici
destino
tu sei l'ombra
del Sé: l'alterego o se vuoi
l'angelo che
ti vive a lato nei
paradossi della vita
*
Forse una nube
(a Pierluigi Cappello)
mi accoglierà un non-luogo
non più inalerò resina di abeti
alle finestre degli occhi colombe
bianche si poseranno
mi abbraccerà vaghezza
forse una nube vorrà dire casa
*
Eterno presente
kronos esce dal mare
prenatale
il domani è un imbuto
dove fluiscono gli oggi
coi sordi tamburi del sangue
dove in fondo
agli specchi annegherà la
realtà
relativa: lì il mondo che
si vede
rovesciato
*
Sull'acqua
sul grande mare del sogno
veleggiano i miei morti
gli occhi forti di luce
con un cenno m'invitano
al loro banchetto sull'acqua
d'argento striata
m'accorgo di non avere
l'abito adatto
cambiarmi rivoltarmi
devo
vestire l'altro da sé
https://poesiaurbana.altervista.org/nota-di-giovanni-perri-a-vita-trasversale-di-felice-serino/
Cascades Douzou- Marocco
rimanere in essere
incapsulati in una vita
ch’è copia
sfocata dell’Originale
dimezzata vita: scampoli
pure
zampillo d’acqua viva
dall’Io subliminale
la difficile luce
sai d’ essere schegge di pensiero
per unificarti alla Mente- madre
dove sei già stato vuoi tornare
ma non ricordi il "dove"
tornare
da dove ti sei staccato
come la foglia che
riprenderà ad abbeverarsi di luce
dopo essere macerata nella terra
rifarti gli occhi davanti
a foto che rispolverano anni
di cui puoi dirti contento
a voler fare un bilancio onesto
-non vasi di pandora-
ma per contraddizione
stornare la realtà con l'immaginario
ti sembra più congeniale:
per lasciarti sfiorare
dal difficilmente percepibile
18.7.22
Dalì - Il ponte rotto e il sogno
rosa il tuo fiato
fragranza di bosco la tua pelle ambrata
apparivi sirena
distesa s’uno scoglio
allucinazione forse
mi facevi un cenno
mentre il cielo s’apriva in una luce
aurorale
come il tuo sorriso
risillabare palpiti
di soli e
generare amore dove
il cuore mette ali
elevarsi come aquila
negli’ infiniti cieli
annullarsi del pensiero
in stato di
levitazione
Pexels photo 635279
Felice Serino – Dell’indicibile 2019---Edito in proprio – 2020
Felice Serino, nato a Pozzuoli nel 1941 e residente a Torino, autodidatta, è un poeta che ha ottenuto numerosi consensi critici e che ha vinto molti premi letterari. Ha pubblicato diverse raccolte di poesia da dio boomerang del 1978 a Quell’onda che ti tiene lieve, 2019. Dell’indicibile, la raccolta del Nostro, che prendiamo in considerazione in questa sede, è preceduta da una presentazione di Giuseppe Vetromile esauriente e ricca di acribia. Già a partire dal titolo del volume ci rendiamo conto che Serino è ben conscio dell’importanza della poesia come fatto in sé salvifico e utile per una vera redenzione del poeta che può essere redenzione anche per il lettore. Se la poesia è sempre metafisica attraverso l’ipersegno qui il poeta si rende conto che la forza portante del poiein di ogni autore e in primo caso del suo lavoro, il suo fare poesia, consiste nel dire l’indicibile e a questo proposito vengono in mente l’estasi e il sogno stesso, elemento che per molti artisti non solo poeti è fonte d’ispirazione profonda se è vero come affermava Maria Luisa Spaziani che la poesia è il genere letterario più alto. Indicibile significa grandissimo, eccezionale, indescrivibile, straordinario e insolitamente grave e profondo e sembra che Felice, poeta mistico ed esistenziale, con questa raccolta raggiunga la più alta maturità espressiva senza mutare la forma in modo notevole ma mantenendosi in continuum con le precedenti prove. Il senso del mistero perdura in questo libro quando sono detti gli angeli e i morti con i quali il poeta dice di avere un rapporto empatico in una bellissima composizione e si percepisce il senso del sacro anche quando Serino non nomina cose religiose ma si mantiene in una dimensione di quotidianità nella quale ritrovare costantemente il vero senso della vita, un filo che tenga per sopravvivere anche nel tempo della pandemia. E anche il tema sociale – politico è affrontato nell’invettiva contro gli scafisti che speculano sui migranti, tematica attualissima. Serino è conscio che la poesia sia, per usare una metafora, il negativo fotografico della fotografia che è la vita stessa, il precipitato chimico delle nostre esistenze, quindi la poesia è fondante nella vita per arrivare ad un’eterna adolescenza della parola stessa per un ringiovanimento che non è solo della mente ma anche del corpo. Versi scabri non definibili neo lirici tout-court anche se ci sono a volte accensioni e spegnimenti che s’inverano nella linearità dell’incanto. La raccolta non è scandita e può essere considerata vagamente un poemetto e la dizione è luminosa, ben cesellata e raffinata, elementi costanti nelle prove del Nostro che a volte raggiunge toni neo orfici. Se la vita è questa non è tanto l’uscita religiosa l’ancora di salvezza (pur essendoci una splendida composizione sul Cristo), quanto proprio l’indicibilità stessa che diviene categoria fondante per uscire dalle angustie e dalle frustrazioni del tran – tran quotidiano e da quello di un’esistenza che metterebbe in scacco. *** Raffaele Piazza
http://www.literary.it/dati/literary/p/piazza/dellindicibile.html
in onde dell'inconscio
si sdipana
l'illusione ipnagogica e
nel gioco sempre inedito delle
immagini
emerge vita sommersa
come ombra che si rompe nell'acqua
mossa
15.7.22
confondersi del sangue col colore
dei papaveri nel sole
ampie distese a perdersi
mentre all’orecchio del cuore
a far capolino una
melodia nel tempo andata
ricordi
ci si appiattiva scalzi col fiatone
nell’erba alta
dopo una volata e
in levità d’angeli
quasi non si toccava terra
Dimitra Milan - L'arte di sognare
lui -il biforcuto
che continua a lavorarci contro-
lo vedemmo nelle case della morte
col fumo della carne bruciata
lo riconoscemmo nella bestia
umana
dopo gli anni orrendi oggi
un museo: in mostra scarpe
valigie occhiali e
una montagna di capelli
i reperti
della vergogna
non sogni o finzioni quelle nuvole
ma
dalle fumate si sa che a levarsi
erano ali d’angeli
in grazia creativa mi sento
oggi che mi è clemente il tempo
-nuoto nel mio
immaginario
nell’incalzare degli anni
non mi fermo a fare bilanci
o scongiuri
né mi guardo indietro
solo il giorno
predestinato aspetto
e tanto più inimmaginabile
sarà quello squarcio di cielo
-ad attirarmi a sé
(2020)
quale il tuo nome nel registro
della Luce
quale la tua figura
inespressa
questo non aversi
come morire sognarsi
in seno a cieli
di cui non è memoria
caduto il velo
un ri- trovarsi
moltiplicato
Quell’onda che ti tiene lieve - Felice Serino – Urso - Pagg. 56 - ISBN 978-88-6954-242-8 - Euro 10,00
E tre, verrebbe da dire, perché con questa sono tre le raccolte di poesie di Felice Serino che ho avuto l’opportunità di leggere. La prima, che mi ha fatto incontrare l’autore, è stata Dalle stanze del cuore e della mente, una sublimazione della parola, la seconda è invece stata Sopra il senso delle cose, una silloge che, recensendola, ho ritenuto di definire frutto dell’esperienza e della creatività. Del resto il poeta, di origini napoletane, ma dimorante a Torino, è un artista di lungo corso che via via negli anni ha affinato il proprio modo di verseggiare, e ciò è facilmente riscontrabile leggendo le sue composizioni in ordine temporale. Questa che ora ci occupa si inserisce cronologicamente, almeno come epoca di pubblicazione, in posizione intermedia, senza segnare una marcata evoluzione e fermo restando quella ricerca introspettiva che è materia propria dell’autore uso ad approfondire con progressività. Nel contesto di ricerca di ciò che può rivelare il proprio Io si nota particolarmente, apprezzando, una visione evanescente che dona particolare fascino, ammantando il verbo di magia, all’intero corpo come in Angelo della luce: adagiati creatura del sogno / sulla curva del nostro abbandono / la lontananza è ferita insanabile / un cielo d'astri divelti / e tu balsamo sei / -tu orifiamma tu altezza / sognato stargate - /dove voce insanguinata c'inchioda / dalla caduta. Sono versi che tendono a volare, a superare confini naturali per congiungersi a un mondo di fantasia, la cui porta, lo stargate, è in attesa di essere valicata. In questo universo che si potrebbe definire poetico Serino s’invola, novello Ulisse verso un’Itaca che è la propria dimensione interiore, un’avventura senza fine in cui conta di più la conoscenza che si incontra nel percorso che il raggiungimento della meta (da Sull’acqua: sul grande mare del sogno / veleggiano i miei morti / gli occhi forti di luce / con un cenno m'invitano / al loro banchetto sull'acqua / d'argento striata / m'accorgo di non avere / l'abito adatto / cambiarmi rivoltarmi / devo / vestire l'altro da sé .). E tutto procede in una sorta di limbo, un sogno che porta ad altra dimensione, e in cui con maggior chiarezza è possibile leggere dentro di sé, in una visione che continua a essere evanescente, una sorte di ectoplasma che avvince e respinge (da L’elemento celeste: tornerò ad essere pensiero espanso / quando dalla scena / sarò sparito / dove si curva all'orizzonte il mare / sarò forse atomo / fiore o stella e / in estasi / mi unificherò all'elemento che da sempre / mi appartiene). Si resta attoniti, anche sgomenti spettatori di una metamorfosi, di una trasformazione che è un’implosione della persona stessa, e, comunque, il tutto si riassume, si comprende con chiarezza in questi versi, con cui vorrei chiudere la recensione di un’opera complessa, ma dall’indubbio fascino: da In vaghezza di sogno “ ti rigiri e vedi -in vaghezza di sogno / un te estraneo vagare / per strade buie e vuote / come un san sebastiano a trafiggerti / gli strali della notte – senti / recalcitrare / in te l'uomo vecchio - ah convivere / con gli umori di un corpo-zavorra / ti avvedi d'aver perso le chiavi / di casa mentre un gallo / canta / in lontananza ed è l'alba “.
Renzo Montagnoli
cavalli d'aria - virgola di fuoco il
pensiero saettante: vederti un
sansebastiano trafitto
da strali della parola
7.7.22
Dalì - Testa bombardata da grani di grano
qualcosa verrà
in quest’ora anodina
a farsi sangue e presenza
il bianco a violare
ricamandolo di fonèmi e voci
da sirena ecco si veste
la musa
su onde a sognare
-incoronata di nuvole vaghe
come un’eco
quel melodioso canto
che si negò odisseo
anneghi
nell’effimero d’una vita marginale
tenti nell’indaco prove di volo
-fino a che dura il sogno
da quale parte è la verità ti chiedi
nei momenti lucidi
credi non sarà così per sempre
non come qui a guardare
per speculum in aenigmate
quel non riuscire a focalizzare
il profilo di lei
come quando la vedevi sbucare
da dietro la curva
della strada al ritorno dal footing
tra le altre suppellettili
ora a prendere polvere
sulla specchiera stile ottocento
profumi pinzette ninnoli
la collana
orfana del collo esile
il guardarti in tralice nelle sere vuote
lei da una foto sfocata
più che amarla amo l'idea di lei
stato d'essere: che s'impregna
di bellezza interiore
si ammanta di una luce affebrata
mentre mi poggia la testa
nell'incavo della spalla
e
se combacia col mio pensiero mi chiedo
dove saremo domani
quando il mondo per noi sarà sparito
1-3.7.22
Quando ci si accosta all’opera di Felice Serino, è difficile non notare il dinamismo della dimensione interiore: nonostante sia interamente incentrata sull’anima, infatti, la sua poesia è ben lungi dal ripiegarsi in sé stessa, poiché l’essenza umana è continuo movimento. La parola “ondivago”, presente in diverse composizioni seriniane, esprime in modo pieno e immediato questo anelito al volo, quest’ansia di scrollarsi di dosso un’immobilità che è congeniale solo alla materia inerte. L’anima di Serino è un agglomerato di particelle che, pur restando unite, sciamano in tutte le direzioni, nella brama di riunirsi al loro elemento naturale: il Tutto. Ma, per seguire quell’ordine che appare insito nella stessa struttura del creato, quest’anima tenta di ravvisare nell’esistenza terrena un percorso logico e coerente, in cui il dispiegamento delle forze interiori possa dipanarsi in linea retta: salvo poi rendersi conto, alla fine di questo lungo cammino, di aver sempre cercato il proprio cerchio perfetto. La vita, allora, acquista un senso in qualità di processo dialettico, in cui l’opposizione tra corpo e anima trova un suo superamento nella morte, vista non come la fine di tutto, ma come una vera e propria risurrezione, da cui scaturirà nuova linfa vitale:
dal Tutto
ritrovarsi nell'uno
a vivere il sogno della carne
il sangue che cavalca il vento dove
crescono i passi
lacerato dalle lancette
d'un orologio interiore
un Lazzaro a sollevarsi da cento morti
In questa raccolta di liriche, il poeta giunge ad una nuova tappa del suo viaggio: al termine del percorso, si apre finalmente la porta di comunicazione tra il mondo sensibile e quello trascendente. Ma ciò che appare non è ancora ben visibile: sul ciglio dell’oltre, lo sguardo è ancora velato (da qui il titolo) e non può nitidamente distinguere gli oggetti della trascendenza.
ma a te presente
il Sé -il celeste- l'esistere
specchiato: vita che si guarda
vivere
un mondo in un altro
In tale contesto, risalta la volontà di non voltarsi mai indietro: contrariamente a quanto il senso comune vorrebbe, in Serino la maturità non è tanto il momento del ricordo, delle nostalgie, dei rimpianti, quanto più un’occasione per interrogarsi su cosa lo aspetta. Questa tendenza a proiettarsi in avanti non nasce dal desiderio di negare il proprio passato: ciò che è stato vissuto, tuttavia, è ormai alle spalle e non può tornare. Questa ferma intenzione di vivere nel presente sembra annullare il tempo: e, dove la dimensione temporale non esiste, la stessa età dell’uomo si appiattisce, e il poeta può attingere a piene mani dal bambino che dorme in lui.
scoprire in me il bimbo
accoccolato nella mente
Di quando in quando, il flusso di coscienza è intervallato da riflessioni sui tanti drammi che segnano il nostro vissuto: il corpo di un migrante abbandonato su una spiaggia, le laceranti incomprensioni dei rapporti affettivi, la sofferenza dello scrivere; come a voler ricordare che morendo ci si lascia alle spalle un mondo fatto di sequenze dolorose. Da qui il tema del sogno, visto come momentaneo rifugio dalle tempeste della vita:
c'è un donnone nei miei sogni
mi perdo fra le sue grandi mammelle
piccolo piccolo mi faccio e
come scricciolo
mi c'infilo
nel suo caldo grembo
al riparo degli tsunami del mondo
Il tono dell’intera raccolta accentua quella ricerca di essenzialità già distintiva della produzione precedente: il verso è breve, asciutto, simile ad un legno prosciugato; l’anima, in procinto di distaccarsi, guarda già al corpo come ad un involucro che ha perso la sua sostanza.
l'anima spando sulla terra
a ricambiarmi una solitudine
ampia come il cielo
mi appresto a gran passi agli ottanta
e ancor più poesia ti canto
-del mio sangue azzurra ala
ai confini della sera in quel
farneticare che richiama la morte
il tuo volare alto
come preghiera
Tanti i quesiti che si leggono fra le righe. Una volta riassorbito dal Tutto, l’uomo conserverà una scintilla della sua individualità? Il suo bagaglio di ricordi, le sue colpe, i suoi “scheletri” insomma: lo seguiranno o si dissolveranno?
sì onorarli
i morti che
ci perdonano con un velo di pietà
quelli che sognarono
il loro eldorado
ragazzi degli anta presto
dipartiti
ora di qualcuno
d'essi verrà detto
era un pezzo di pane
-anche se di certo avrà
portato con sé i suoi scheletri
o si saranno nell'altra
dimensione dissolti
Domande probabilmente destinate a restare senza risposta; ma, in mezzo a tanti dubbi, c’è comunque una certezza. Qualsiasi cosa saremo, siamo stati amore, ed è questo ciò che potrebbe sopravviverci. L’amore, eterno e ubiquo, ha una forza pari soltanto a quella della fede.
falesie di pensieri
tesse ragno di luce
vertigine: come
sarà senza il corpo
-serbata la vita
nella Pietà del sangue
solo espanso
pensiero saremo?
ci consoli certezza
di portare in salvo brandelli
d'amore
I due temi, l’amore e la fede, si trovano da sempre strettamente intrecciati nella poetica di Serino: qui, tuttavia, la fede non sembrerebbe avere il ruolo preponderante che ha rivestito altrove. Ma è solo un’impressione superficiale: ad un certo punto della lettura, infatti, ci si accorge che la presenza di Dio ha in questa opera una valenza molto più forte, tanto da poterla respirare in ogni verso. Ovunque, nel libro, c’è un silenzio pieno di Dio; e questa pienezza, così tacita e così viva, incarna il desiderio quasi tormentoso di anticipare la fusione con il sommo Bene, per trovare finalmente quella felicità che sembra preclusa alla condizione umana.
tocco in sogno la fiorita
riva delle tue braccia:
è una dolce pena questo lieve
sfiorare la tua vaga essenza
a un lunare complice chiarore
Fenomeni psichici come il dormiveglia o il sogno prefigurano in tal modo il trapasso, aiutandoci a distinguere con più chiarezza ciò che i sensi ci impediscono di vedere:
si concentra ed espande
l'amore in quel vivere-morire
delle prensili braccia
sospensione apparente carne e cielo
Un “vivere-morire”, appunto: una vela spiegata verso altri approdi, dove lo spirito può finalmente trovare conforto al suo perenne cercarsi.
dove ti porta il filo
dell'immaginario o del
sognare
dove
questa strana ma feconda
inquietudine
serpeggiante nel sangue
tutti i libri letti i mari
solcati - odisseo tu
nello spirito- dove
questo cuore nomade
d'amore
ti porta
Ma in fondo, la vita del poeta si è sempre svolta in una dimensione dualistica: da un lato, quel “paese interiore” dove l’anima può pienamente espandersi:
nel paese interiore
eiaculo i miei sogni -
vivo una stagione
rubata al tempo -mimesi
icariana sul vetro del cielo-
nel paese interiore
brucia il mio daimon
di febbre e di luce
Dall’altro, una realtà sempre più dominata dai falsi idoli, magistralmente descritta in “Un dio cibernetico?”:
vita asettica: grado
zero del divino Onniforme
-ma la notte del sangue
conserva memoria di volo
vita
sovrapposta alla sfera celeste
regno d'immagini
epifaniche
emozioni
elettroniche
eclissi dell'occhio-pensiero
In questa esistenza bifronte, la morte fisica viene vista come un evento che ci strappa il velo dagli occhi, consentendoci di riappropriarci di quella dignità ormai sconosciuta alla società degli uomini. Liberi dalle pastoie del mondo sensibile, ridiventiamo ciò che avevamo dimenticato di essere: mondi di pura luce, completi nella loro unicità e, allo stesso tempo, in quanto parte del Tutto.
dell' indicibile essenza
noi sostanza e pienezza
solleva l'angelo un lembo
di cielo:
in questa vastità soli
non siamo: miriadi
di mondi-entità ognuno
in una goccia
di luce
*
Donatella Pezzino
non vorrei più uscire da questa
dimensione eppure basterebbe
come altre volte
stringere forte gli occhi e...
ma voglia non ne avevo - poi giocoforza
mi ritrovai quasi deluso nel mio letto
avevo lasciato un mare che era
una favola
un'immensa tavola
imbandita per i gabbiani a frotte