RECENSIONI E NOTE DI LETTURA
agli ultimi quattro libri pubblicati tra il 2012 e il 2017
Casa di mare aperto
di Felice Serino
Recensione a cura di LORENZO SPURIO
E’ una poesia dotta, filosofica e ricca di rimandi alla
letteratura europea quella di Felice Serino contenuta
nella sua ultima raccolta dal titolo enigmatico “Casa
di mare aperto”. Ed è un po’ tutta la poetica di Serino
ad essere attraversata da un certo ermetismo che si
realizza in un criticismo del linguaggio, in una
frantumazione dell’identità e in numerosi squarci
visionari e addirittura onirici. Serino parte dal mondo
che lo circonda, ma non è quello il suo interesse
nell’arte della scrittura, perché l’intenzione è altra. La
poetica si trasfonde a un livello più alto, a tratti
irraggiungibile a tratti difficile da capire, ma l’artifizio
della poesia sta anche in questo: nel dire e nel non
dire, nell’utilizzare un concetto per elevarlo a
qualcosa d’altro, metafisico, che non può aver
concretezza proprio perché ha a che fare con la
coscienza dell’uomo.
Importanti e degni di rispetto le poesie d’impianto
civile, che nascono cioè dal voler ricordare alcuni
personaggi centrali nel processo di crescita e
progresso storico com’è la lirica dedicata al Nobel per
la Pace Aung San Suu Kyi nella quale Serino utilizza
l’isotopia del sangue e della violenza per tratteggiare
il clima d’odio, repressione e vendetta nei confronti
della statista appartenente all’opposizione: “Dal suo
sangue si leva alto/ il grido d’innocenza/ a confondere
intrighi di potenti” (p. 20). La condanna alla tirannia,
alla democrazia messa a tacere è evidente anche se il
linguaggio di Serino evita la durezza e si
contraddistingue sempre per una certa armonia e
levità, anche quando parla di drammi in piena regola.
Ma ci sono anche poesie in cui il poeta mette allo
scoperto terminazioni nervose dolorose dal punto di
vista sociale, come è il caso della poesia “A ritroso”
ispirata al fenomeno poco noto degli hikikomori in
Giappone che riguarda dei giovani che si autorecludono
letteralmente in casa evitando una vera vita
sociale.
Centrale anche il tema della morte che ritorna in varie
liriche come pensiero spesso assillante, altre volte
come semplice dato di fatto dal quale bisogna partire
con consapevolezza nell’impostazione del proprio
progetto di vita. L’interesse per il mondo, per la
socialità, la vicinanza all’altro e la riflessione sulla
nostra esistenza fatta di giorni che sembrerebbero
identici ma che non lo sono, trova ampiezza in una
lirica in particolare, “In questo riflesso dell’eterno”
dove il poeta con sagacia e freddezza verga la carta
scrivendo: “imbrigliati noi siamo in un tempo/
rallentato/ noi spugne del tempo/ assediati da passioni
sanguigne” (p. 61) in cui si ritrovano molti
temi/aspetti che contraddistinguono la vita dell’uomo
d’oggi: il tempo che scorre in maniera rallentata,
troppo lenta, forse perché non è più in grado di vivere
i momenti che riceve in maniera autentica, ma forse
perché l’uomo senza lavoro, precario, disoccupato o
immigrato che sia, senza una occupazione non può
che vedere il suo tempo scorrere in maniera lenta,
dolorosa e oziosa; l’uomo è una spugna nel senso che
riceve dal mondo, ma è sempre meno in grado di dare;
che assorbe, si assoggetta, accetta e che, al contrario,
non fa, non dà, non propone. Il mondo frenetico e
alienante che propone una società sempre più
efficiente, veloce e altamente tecnologizzata in realtà
provoca un certo indolenzimento che si ravvisa nel
sonnambulismo etico e pratico dell’uomo. Infine gli
uomini sono “assediati da passioni sanguigne”: amore
e sesso che, come si sa, non sono la stessa cosa e che
spesso possono portare alla follia, al delirio, allo
spargimento di sangue, in un doloroso banchetto in
cui Eros e Thanatos giocano beffardi ignari di cosa
stanno combinando. In “L’alba che sa di nuovo”
Serino esordisce con versi acuminati: “la si vive nel
sangue la nottata” (p. 89).
Numerosissimi i riferimenti e le citazioni a numerosi
padri della letteratura europea, tra cui Mallarmé,
Ungaretti, Zanzotto, Pessoa che, oltre a sviscerare il
grande amore di Serino nei confronti della letteratura
e la sua profonda conoscenza, rendono l’opera un
gradevole e profumato percorso in altre storie, tempi e
luoghi.
Lascio ai lettori di questa recensione un’ultima lirica
del Nostro nella quale si respira un senso d’incertezza
e un sentimento di sospensione che non è dato
all’uomo capire; il serpente presente quale immagine
di fondo della lirica alla quale si tende analogicamente
(si richiama il verde e il serpeggiare), rimanda ancora
una volta all’immagine del peccato,
dell’avvelenamento e dunque della morte. Ma la cosa
curiosa è che in questo caso non vi sono vittime, se
non la serpe stessa:
Di un altrove (p. 78)
d’un altrove
striscia
di luce verde la mente
l’interrogarsi serpeggia
si morde la coda
LORENZO SPURIO
-scrittore, critico letterario-
Jesi, 1 Agosto 2013
FELICE SERINO è nato a Pozzuoli nel 1941; autodidatta, vive a Torino.
Ha pubblicato varie raccolte: “Il dio-boomerang” (1978), “Cospirazioni di Altrove”
(2011).
Ha ottenuto importanti riconoscimenti e di lui si sono interessati autorevoli critici.
E’ stato tradotto in sei lingue. Intensa anche la sua attività redazionale.
Un oltre in sé, quella “Casa in mare aperto” di F. Serino -
Fernanda Ferraresso
.
L’epigrafe di apertura, ripresa dalla dedica di Raffaele
Crovi , a Flavio e Teresio, pare individuare con
precisione quale sia la scialuppa di salvataggio per
praticare quel mare aperto e arrivare a casa.
La poesia allena l’ “analfabeta”/ancora vergine di
conoscenza / a “disincagliarsi dalla vita” /e a
viaggiare dentro il mistero/(che è la somma delle
verità).
Ma si tratta di trasparenze lacere, così le chiama
Felice Serino, queste visioni , o voci, che arrivano da
quel mare di cui dice e non ha nome, se non umanità,
storia, e sembrano voci lacerate dalle perdite. I testi
evocano, in questa silloge breve, altre parole, messe
nell’acqua del linguaggio da altri , sin dal titolo del
libro, che riprende una frase di Piernico Fè, come cita
nella prefazione Marco Nuzzo: -creando una sorta di
sprazzo sui diversi moti del mondo, ornato dalle molte
sfaccettature e che ne compongono, malgrado tutto,
una visione d’insieme talvolta succube delle
vicissitudini carnali, umane. -E dovunque nel libro si
sentono questi echi da terre senza nome, dispersi nei
moti dei venti e tra le orme liquide dei naviganti, che
hanno messo in mare i loro legni, le loro sementi,
portando anche all’autore ulteriori germinazioni. Ciò
che mira l’occhio di Serino non è direttamente il
viaggio, ma il viaggiatore, poiché, come dice Pessoa,
è lui il cammino. E qui , proprio riportando al suo
piede e al suo occhio, al suo orecchio interiore, le voci
degli altri, facendone terra del suo essere, Serino
moltiplica questo andare in sé, lui terra e osservatorio
di quel territorio senza fine, ma anche angusto, per la
grevità dei gesti che si ripetono, e sono gesti umani,
stratificazioni del pianeta e della memoria, miseria e
guerra e preghiere come pietre che sembrano
infossarsi più che elevarsi se non partono dalle più
oscure profondità di ciascuno. In quelle stesse
profondità, oscure, spesso minacciose, esiste un
altrove, a cui abbiamo accesso, in cui esiste un rifugio
durante la navigazione ed è quello che è casa aperta
nel cuore del mare. Serve viaggiare, serve andarci e la
poesia aiuta a fare vela fino a quel continente che, alla
fine, dopo una vita intera di rotte praticate , si scopre
essere un oltre in sé.
fernanda ferraresso
LA “CASA DI MARE APERTO” SPIRITUALE
NELLA PIÙ RECENTE RACCOLTA DI VERSI DI FELICE SERINO
di GIORDANO GENGHINI
Recentemente, edita dal Centro Studi Tindari di Patti,
è uscita la raccolta di versi “Casa di mare aperto”, che
riunisce tre diversi gruppi di brevi liriche scritte fra il
2009 e il 2011 dal poeta Felice Serino, noto - anche se
non quanto meriterebbe - in Italia e anche all’estero
(le sue poesie, pubblicate a partire dal 1978, sono state
tradotte in sei lingue).
Il titolo della raccolta - lo si chiarisce all’interno del
volumetto - è una citazione da Piernico Fè, e in
qualche modo, a mio avviso, è la chiave per
interpretare l’intera opera, caratterizzata da una lirica
intrisa di spiritualità intensa che si irradia in
molteplici direzioni: un “mare aperto” spirituale,
dunque.
La lettura delle pagine - poco meno di cento - è
un’esperienza straordinaria e irripetibile.
Il tessuto dei versi è coerente e ha un tono e un
timbro inconfondibili. I temi toccati ruotano attorno a
una ricerca spirituale intima del poeta ma nel
contempo rivolta ad ogni uomo. I versi, come nei
grandi artisti mistici del Medioevo, esprimono
l’inesprimibile del mistero divino soprattutto
attraverso il simbolo della luce. La spiritualità del
poeta è però modernissima perché inquieta, mobile,
non univoca.
Alcune immagini, metafore e parole-chiave sono
ricorrenti nella raccolta. in primo luogo, la figura
dell’angelo (o, meglio, degli “angeli / caduti /
mendichi di amore”), simboli di aspirazione alla
purezza assoluta. Ancora più rinvia a questa ricerca di
purezza e verità assolute la metafora - che riappare in
varie forme - del “corpo di vetro” o del “vetro del
cuore”, cui si affianca la prevalenza di un altro
emblema di purezza: il candore, che culmina nel
“silenzio” di chi ha già lasciato la vita: l’ “immacolato
manto / come un’immensa pagina bianca” che si
identifica con l’ “Altrove”, ossia con il mistero
occulto di “questa casa di vetro / eretta sulle nuvole”,
a cui il poeta aspira - e alla cui rappresentazione
concorre anche la suggestione generata dall’uso mai
casuale o irrilevante degli spazi bianchi fra i versi o
nelle pagine.
Oltre alla luce, altri simboli ricorrenti nei versi di
Serino per esprimere l’inesprimibile - l’ “Oltre” - sono
il sogno e l’azzurro, che si intrecciano con la musica
nel tentativo di dare corpo (come nel “Paradiso”
dantesco, di cui talora si avverte l’eco) al divino.
Tuttavia, i versi di Serino non hanno certo
caratteristiche tradizionali e meno che mai “cantabili”,
in quanto nel loro originale ritmo si manifesta la
presenza della realtà umana fatta di carne e sangue,
dei “veleni del mondo” e, in particolare, del mondo
contemporaneo in cui “l’autentico” è “violentato dal
mediatico”.
All’interno di questa antitesi decisa fra l’ Altrove e il
male del mondo (per il quale però, uscendo dal coro,
la lirica del poeta non cerca espliciti capri espiatori,
politici o di siffatto genere, cui attribuire ogni colpa)
determinante è la funzione della poesia, che definirei
profetica ma, anche, casa in cui rifugiarsi per
distaccarsi dal male di vivere. L’autore infatti scrive:
“nascosto starò nella rosa / azzurra della poesia”,
evocando per analogia nel lettore anche il ricordo
della “candida rosa” dantesca dei beati.
La spiritualità di Serino e la sua fede nell’Altrove non
è mai incerta: “quando il mondo continuerà / dopo di
me // a chi vi dirà lui non c’è più / fategli uno
sberleffo”. Il suo misticismo non trascura le vicende
della storia e degli ignorati “santi del nostro tempo”,
di non pochi dei quali viene fatto esplicitamente il
nome ( un esempio fra tanti: Oscar Romero, nel cui
sacrificio, credo, il poeta vede il “rigenerarsi dell’urlo
della croce” evocato in un’altra lirica).
La cultura su cui fioriscono i versi dell’autore è
estremamente ricca: le stelle che la illuminano (lo si
comprende da citazioni dirette o indirette, e
soprattutto dalla ripresa rielaborata, nei versi, di altri
versi, secondo una tecnica già presente in grandi
poeti, da Dante a Luzi, ma usata in modo originale da
Serino. Tale ripresa non è mai sfoggio di conoscenze
è invece indispensabile al disegno lirico dell’autore.
Le stelle che rilucono nel cosmo intellettuale del poeta
possono per alcuni aspetti essere forse accomunate,
ma fra loro sono anche estremamente diverse: oltre al
Gesù dei Vangeli e ad antiche (come Paolo e
Agostino) e recenti (come, ad esempio, David Maria
Turoldo) figure della spiritualità cristiana, figurano
anche maestri di diverse spiritualità: da Steiner a
Swedenborg a Paulo Coelho, per non ricordare che
alcuni nomi. Né si possono dimenticare i riferimenti ai
grandi poeti dello spirito: dal già menzionato Dante
(alcune delle cui immagini, come quella del
paradisiaco fiume di luce, sono rielaborate e
riproposte in modo affascinante) ai più recenti
Mallarmé, Borges, Pessoa, Ungaretti fino a poeti a noi
vicinissimi come Giovanni Giudici e Andrea
Zanzotto.
La lirica di Serino si colloca nel panorama
estremamente vasto di questa sorta di ideale “empireo
della poesia” che si contrappone - almeno come
possibilità di difesa - ai mali della storia. L’ampiezza
dei punti di riferimento negli orizzonti culturali e
letterari del poeta spiega anche perché la sua raccolta
non rappresenta un tentativo - che sarebbe impossibile
- di ricomposizione di tutti i punti di riferimento, ma
una esplorazione spirituale, un moderno viaggio,
termine ancora una volta da intendersi in senso
dantesco.
A livello stilistico, il poeta dà vita a una lirica di
grande intensità, che fa tesoro della lezione poetica
del Novecento (in particolare, nell’abolizione della
punteggiatura e della iniziali maiuscole) e del verso
libero per creare un proprio originale timbro, spesso
caratterizzato da affascinanti creazioni in miniatura,
nelle singole liriche, di “opere aperte” che lasciano
possibilità di diverse interpretazioni: né potrebbe
essere altrimenti, dati i temi affrontati nella raccolta.
In versi densi di fratture e ricomposizioni, Serino ci
propone - per rifarsi al “suo” Agostino - una “città
dell’uomo” in cui abbondano le asprezze (“le viscere
nelle mani”) e una “città di Dio” in cui risplende
l’armonia dell’Altrove (“un cielo bianco di silenzi” in
cui è protagonista disincarnato il “fiume di luce che /
ci prenderà”).
Non è il caso che aggiunga altro a queste mie modeste
note, perché ogni tentativo - come questo mio - di
presentare nell’ambito di un discorso logico-razionale
una poesia che tale ambito travalica, non può che
essere povera cosa rispetto all’esperienza della lettura
dei versi del poeta. E concludo proprio con un invito
alla lettura e con un’ultima osservazione: la raccolta
di Felice Serino è un “mare aperto” al cui interno si
muovono potenti correnti di luce. Credo che, per
renderci conto di ciò, basti rileggere la bellissima
breve lirica che, non a caso, chiude la raccolta, e che
qui riporto: “d’un presentito chiaro d’armonie // d’un
trasognato dove // vivi e scrivi // - tuo credo - // tua
casa di mare aperto”.
grande intensità, che fa tesoro della lezione poetica
del Novecento (in particolare, nell’abolizione della
punteggiatura e della iniziali maiuscole) e del verso
libero per creare un proprio originale timbro, spesso
caratterizzato da affascinanti creazioni in miniatura,
nelle singole liriche, di “opere aperte” che lasciano
possibilità di diverse interpretazioni: né potrebbe
essere altrimenti, dati i temi affrontati nella raccolta.
In versi densi di fratture e ricomposizioni, Serino ci
propone - per rifarsi al “suo” Agostino - una “città
dell’uomo” in cui abbondano le asprezze (“le viscere
nelle mani”) e una “città di Dio” in cui risplende
l’armonia dell’Altrove (“un cielo bianco di silenzi” in
cui è protagonista disincarnato il “fiume di luce che /
ci prenderà”).
Non è il caso che aggiunga altro a queste mie modeste
note, perché ogni tentativo - come questo mio - di
presentare nell’ambito di un discorso logico-razionale
una poesia che tale ambito travalica, non può che
essere povera cosa rispetto all’esperienza della lettura
dei versi del poeta. E concludo proprio con un invito
alla lettura e con un’ultima osservazione: la raccolta
di Felice Serino è un “mare aperto” al cui interno si
muovono potenti correnti di luce. Credo che, per
renderci conto di ciò, basti rileggere la bellissima
breve lirica che, non a caso, chiude la raccolta, e che
qui riporto: “d’un presentito chiaro d’armonie // d’un
trasognato dove // vivi e scrivi // - tuo credo - // tua
casa di mare aperto”.
Recensione a “D’un trasognato dove” di Felice Serino
(Giovanni Perri)
25 ottobre 2014
Capita raramente di imbattersi in poeti in cui
vocazione lirica e pensiero filosofico si fondono così
perfettamente da riuscire saldati in un unico corpo
come in Felice Serino, la cui voce è tanto più
seducente quanto maggiormente risulta isolata nel
panorama contemporaneo. Egli rappresenta, forse, la
continuità, nel solco di una tradizione tipicamente
novecentesca, di pensare la poesia come antitesi e
attrito con la modernità e filtro da cui trascendere nel
segno d’una rivelazione; in lui, senso del tempo e
dello spazio, spiritualità e vita, verità intangibile e
immanenza, mistero, trovano la medesima via su cui
la poesia accomoda il sentimento, insieme umano e
divino, d’essere in sé origine e fine di tutto; e nel
mezzo, ricerca passionale e tensione dell’amore puro;
(Amore: altissimo e di sangue, lamento quasi siderale
degli occhi, fiume alle mani ): dove quel sentimento
arriva e la voce si espande, e l’umore improvvisa
emozioni che non trovano il punto, oppure lo
invocano sapendo che un urto, anche il più invisibile,
può farsi carico di tutta quanta la specie dei sogni di
cui è composta la vita.
leggere sull’acqua
lettere storte
camminare nel mistero a volte
con passi non tuoi
nella parusia entrare nella luce
goccia
che si frange nel sole
– che contiene un mondo
Impresa affatto anodina dunque, introdurre Serino:
farne passare il battito, la folgorazione; additare nel
segno delle sue epifanie, come volendo scottarsi:
sentirsi addosso la luce, vivida e sanguigna di un
verso che trasloca bucandoci. Perché viene sempre nel
segno della carne la sillaba che in lui svanisce: questa
croce di vento sulla pelle. E sono spasmi. Cieli a
difendersi. Occhi per seminare: amore per la parola
sorgiva da cui bagnarsi e bere, a piene mani, quasi
fossimo noi quel punto imprendibile l’altrove, che
cuce il corpo alla memoria e tace, profondo e innato
silenzio:
sangue del pendolo
tempo-maya dagli occhi
di giada
capovolti
nell’oltre è cuore
del sole abisso
di cielo – antimondo
C’è in Serino un’attitudine all’amore che è soglia,
dunque, attracco e mancamento: visionarietà al limite
del corpo, come una metafisica della bellezza. Una
specie di vizio a perdere la vista per meglio pensare.
Viene in mente Democrito; e Borges che lo nomina
nel buio. Nelle sue tanto aeree apprensioni, Serino
ausculta pungendo, sembra quasi addirittura ch’egli
tiri dalla vena una goccia di lontananza e ne faccia
presenza aromatica, unguento a lenire ferite. Sono
sempre afflizioni, le sue, da cui sgorga dolcezza:
l’essere qui e altrove come dato fondante d’una vita:
un vedermi lontano
io che vesto parole
di carne
alfabeti di sangue
da me lontanissimo
ché ad altra
sembianza anelo
per voli su mondi
ultraterreni
Il preziosissimo volume appena pubblicato (d’un
trasognato dove) porta quest’attenzione al luogo
come segnale viatico, sintomo d’attraversamento,
quasi paura: l’attesa di un dove che ci tiene, mi piace
dire, anatomicamente, nel nervo della poesia, in un
flusso cosmico, segnato a ferite, di tempo e spazio,
appunto, e di memoria:
giro di luna bivaccante nel sangue
baluginare d’albe e notti
che s’inseguono
dentro il mio perduto nome
per le ancestrali stanze un aleggiare
di creatura celeste
che a lato mi vive nella luce
pugnalata
Oppure ancora:
espansione a irradiare
poesia a labbra
di luce
indicibile fiore
del sangue
Quale che sia il trasognato dove, quel che posso dire è
che qui l’amore s’avverte, terragno e trascendente, nel
segno di una luce vivida e irrisolta, cavata dall’occhio
di un uomo sospeso, solo e multiplo, invocata e
assolta nel dono di un verso pulsante,
tangente, bellissimo, quasi tenuto nel fiore di un
enigma e consegnato al tempo, come un bacio dato
alla terra, questa sacra parola illuminante.
Ecco forse Serino è tutto questo, o tant’altro che
ancora non so; che ancora non m’è dato di sapere.
Giovanni Perri
https://poesiaurbana.altervista.org/recensione-dun-trasognato-dove-felice-serino-giovanni-perri/
D’un trasognato dove – 100 poesie
di Felice Serino
Recensione di Lorenzo Spurio
Ha memoria il mare
Scatole nere sepolte nel cuore
Dove la storia
Ha un sangue e una voce. (37)
D’un trasognato dove – 100 poesie scelte è la nuova
densa raccolta poetica di Felice Serino, poeta nato a
Pozzuoli nel 1941 che da molti anni vive a Torino.
L’autore mostra di aver compiuto una meticolosa
operazione di cernita in questo “canzoniere
dell’esistenza”, tante sono le liriche che ne fanno parte
e tante le tematiche che Serino trasmette al cauto
lettore. Il fatto che esse siano state raggruppate in
filoni concettuali intermedi da una parte facilita al
lettore la corretta comprensione delle stesse e
dall’altra consente all’opera una struttura
ulteriormente compatta e costruita organicamente. È
così che questi microcosmi-contenitori delle liriche di
Serino si concentrano attorno a questioni che hanno a
cuore il rapporto con l’aldilà, il tema celeste, il senso
dell’esistere, la potenzialità del sogno, l’inesprimibile
pregnanza del tessuto semantico, l’impossibilità di
dire (l’impermanenza) e si chiude con un nutrito
apparato finale di poesie dedicate a personaggi più o
meno famosi della nostra scena contemporanea dal
quale partirò.
In questo apparato di dediche si concentra il fascino
nutrito da Serino verso una serie di immagini-simbolo
quali quello della luce e del sogno (nella lirica
dedicata Elio Pecora), il tema della Bellezza (nella
lirica a Papa Giovanni Paolo II), il risorgere (nella
lirica dedicata a David Maria Turoldo) e lo specchio
come proiezione e frantumazione dell’io (nella lirica
dedicata a J. Luis Borges). Sono queste solo alcune
delle liriche che compongono questo apparato finale
poiché ve ne sono varie di chiaro interesse civile che
affrontano disagi e tragedie dell’oggi quali i disastri
per mare dei tanti immigrati che sperano di giungere
in Italia, le precarie condizioni degli incarcerati o
gravi casi di violenza in cui alcuni giovani hanno
riportato la morte come Iqbal Masih, tessitore di
tappeti portavoce dei diritti dei bambini lavoratori che
venne ucciso nel 1995 all’età di 12 anni e del quale
Serino apre la lirica in questo modo: “come un bosco
devastato/ intristirono la tua infanzia/ di pochi sogni”
(107).
Nell’intera opera di Serino si nota una pedissequa
attenzione nei confronti di isotopie, immagini
costruite nelle loro archetipiche forme, che ricorrono,
si susseguono, si presentano spesso perché necessarie;
esse non sono solamente immagini che identificano o
denotano qualcosa, ma simboli, metafore, mondi
interpretativi altri: il sogno, la luce, il cielo, il Sole,
tanto che permettono di considerare la poetica di
Serino come celestiale proprio per il suo continuo
rovello sull’aldilà, onirica perché fondata
sull’elemento del sogno del quale si alimenta tanto da
non poter dire spesso con certezza quale sia la linea di
demarcazione tra realtà e finzione. Si penserebbe a
questo punto che il tema del tempo possa essere
altrettanto centrale in questa silloge di poesie dove,
pure, si ravvisa un profondo animo cristiano, ma in
realtà il concetto di tempo è ristrutturato da Serino in
maniera meno pratica, in chiave esistenziale, come
costruzione della mente umana che però risulta avere
poca rilevanza nelle elucubrazioni di una mente
particolarmente attiva.
Il sogno, l’onirismo e il surrealismo (citato anche nel
momento in cui viene nominato il pittore catalano
Dalì) sono il nerbo fondamentale della silloge dove il
trasognare ne identifica l’intero percorso di
formazione e conoscenza. Non è un caso che in
copertina si stagli un albero frondoso e, dietro di esso,
uno scenario meravigliosamente pacificante di un
cielo verde-azzurro tipico di una aurora boreale che fa
sognare.
Dal punto di vista stilistico Serino predilige
un’asciuttezza di fondo per le sue liriche (molte di
esse sono molto stringate se teniamo presente il
numero dei versi), dove il poeta evita l’adozione delle
maiuscole anche quando queste dovrebbero essere
impiegate ed ogni forma di punteggiatura, quasi a
voler rendere in forma minimale il pensiero della
mente proprio come gli è scaturito.
Contemporaneamente il lessico impiegato è
fortemente pregno di significati, spesso anche
molteplice nelle definizioni, ed esso ha la
caratteristica di mostrarsi evocativo, più che
invocativo (anche se alcune liriche di invocazione
sono presenti) o connotativo.
Sprazzi di ricordi salgono a galla (“in sogno sovente
ritornano/ amari i momenti del vissuto”, 39) ma questi
non hanno mai la forza di demoralizzare l’uomo o di
affaticarne la sua esistenza poiché c’è sempre quella
“comunione col sole” (47) che dà forza, garanzia e
calore all’uomo che sempre ricerca risposte su sé, Dio
e il mondo.
Lorenzo Spurio
Jesi, 28-10-2014
Felice Serino, "D'un trasognato dove"
(Ed. Associazione Salotto Culturale
Rosso Venexiano)
E' caratteristica essenziale in molti poeti la ricerca di
una dimensione altra, per lo più disgiunta dalla
materialità delle cose e allocata in un empireo che
simboleggia la spiritualità, l'amore, il sacro. Questa
ricerca indubbiamente parte innanzitutto da se stessi,
nel prodigarsi a dragare nei labirinti della propria
anima lacerti e spiragli di luce, di speranza, e di tutti
quei valori che possano elevare la persona alla
dimensione celeste, avvicinandola a quella meta che
nel progetto della creazione può chiamarsi anche
paradiso. E' innegabile che ogni uomo tenda a
superare, e a superarsi, quelle barriere fisiche e
materiali che in qualche modo gli consentano di
raggiungere, o almeno tendere, ad una certa
realizzazione di sé, che non sta tanto in una mera e
statica acquisizione di beni materiali, quanto
nell'agognare quella famosa "felicità" o stato di grazia
che sia, che soddisfi non solo il corpo, ma anche e
soprattutto l'anima e il cuore.
Che poi questa ricerca venga estrinsecata, seguita e
sviluppata anche in modo creativo ed artistico, nella
fattispecie tramite la poesia, è segno di sensibilità
personale non indifferente, in quanto l'artista, il poeta,
ha il coraggio di mettere in chiaro ciò che gli
scaturisce da dentro, ciò che gli detta il cuore. In un
mondo in cui i modelli predominanti sono il rivestirsi
di corporeità e di ricchezze materiali, da seguire come
obiettivo primario della quotidianità, un canto elevato
alla purezza dei cieli sembrerebbe anacronistico se
non addirittura bambinesco: c'è altro a cui pensare
nella vita di tutti i giorni, c'è da sbarcare il classico
lunario e non c'è spazio per intime riflessioni
trascendentali. Ma il poeta è e resta sempre un puro
d'animo, egli vede sempre al di là del velo opprimente
che copre il mondo di grigio e di organigrammi, sente
il discorso della natura e lo fa proprio, nonostante
tutte le ottenebrazioni e i frastornamenti offerti dalla
pubblicità più subdola. Si tratta di liberarsi da ogni
falsità terrestre, e questo al di là di ogni tipo di
religione, chè è primario in noi, nell'uomo, questo
senso vago, indeterminato ma sussistente, dell'al di là,
inteso come luogo sublime ed eternamente pervaso di
gioia, pace e felicità. Si tratta di raggiungere
l'empireo, appunto, ricostruire l'antico filo di
resistente speranza che, in fondo, c'è qualcosa di vero
oltre la dimensione materiale dell'uomo.
Felice Serino è dunque uno di questi poeti che vede e
che sente: "insaziata parte / di cielo / vertigine della
prima / immagine / e somiglianza / vita / lacera
trasparenza / sostanza di luce e silenzio / sapore
dell’origine / fuoco e sangue del nascere" ("Lacera
trasparenza"); sostanza di luce che permea tutta la sua
raccolta poetica "D'un trasognato dove", inesauribile
canto di ricerca dell'"oltre", assidua ed appassionata
narrazione poetica del suo cercare quel "dove" che
possa riscattare il senso materiale della vita, che possa
nobilitare l'uomo.
"In una goccia di luce / s’arresterà questo giro del mio
sangue / lo sguardo trasparente riflesso / in un’acqua
di luna / sarò pietra atomo stella / mi volgerò indietro
sorridendo / delle ansie che scavano la polpa dei
giorni / delle gioie a mimare maree / nullificate di
fronte all’Immenso / allora non sarò più / quell’Io
vestito di materia / navigherò il periplo dei mondi /
corpo solo d’amore / in una goccia di luce": è il testo
iniziale della raccolta di Felice Serino, testo
emblematico che in qualche modo concentra e
riassume la sua idea progettuale, e poetica, di un
distacco dalla materialità al fine di trovare e provare,
svestito di materia, quel nocciolo di verità assoluta,
quei sentimenti puri non più inquinati o compromessi
dalle implicazioni del corpo. Si tratta dunque di un
discorso poematico di lungo respiro, tutto intriso di
alta religiosità, una religiosità che richiama
sicuramente la fede cristiana, pur non citando
direttamente situazioni, fatti e personaggi della
dottrina classica, ma traendo da essa i riferimenti più
sinceri e puri: "- e gli esecrabili / delitti e la vita /
tradita? / e il sangue innocente? / -non ricordo: in
verità ti dico / l’Albero di sangue / virgulto di mio
Figlio / il Giusto / si è ingemmato / ed espande nei
secoli / le sue radici / in un abbraccio totale" .
La raccolta poetica di Felice Serino "D'un trasognato
dove" è divisa in cinque parti: "Di palpiti di cielo",
"Del trasognare", "La parola che fiorisce e dintorni",
"Dell'impermanenza", e "Dediche".
Pur mostrando una complessiva omogeneità di
progetto, costituita essenzialmente dalla trama
religiosa di cui sopra, che lega internamente tutte le
composizioni della raccolta, nella quale l'autore riesce
ad estrinsecare e a sviluppare esaurientemente tutta
l'ispirazione primaria attorno alla quale si addensa il
suo dettato, in mille diverse angolazioni, la quinta
parte, "Dediche", si discosta alquanto dal tema; si
tratta qui di poesie ognuna "dedicata" ad un
personaggio particolare (tra cui anche la moglie), che
hanno evidentemente colpito la sensibilità del poeta,
muovendolo ad esprimere considerazioni e riflessioni
dal contenuto veramente nobile e importante, come ad
esempio nella poesia dedicata ai migranti: "uscire / dal
porto -il cuore in mano- / issare la vela della /
passione / dietro lo stridulo / urlo dei gabbiani / tra le
vene bluastre del cielo / foriero di tempesta /
squarciare / nel giorno stretto / il grande ventre del
mare / che geloso nasconde / negli abissi / i suoi figli"
("La ricerca" – Ai migranti di Lampedusa).
La scrittura poetica del Serino si presenta decisa,
fluida, chiara, priva di tentennamenti espressivi e di
vaghezze retoriche; è d'altra parte una scrittura non
priva di un certo sapore lirico, e strutturata sulla base
di versi brevi, in cui ogni termine, ogni parola, è
fortemente risuonante.
Ne risulta complessivamente una raccolta di sicuro
spessore poetico, interessante, propositiva oltre che
riflessiva, che certamente induce nel lettore attento
ottimi spunti di ulteriori considerazioni sia sul piano
religioso che sul piano sociale.
Giuseppe Vetromile
3/1/15
http://taccuinoanastasiano.blogspot.it/2015/01/duntrasognato- dove-raccolta-di-poesie.html
il sasso nello stagno di An Gre
collaborativo di poesia, arte e dintorni a cura di Angela Greco
D’un trasognato dove (100 poesie scelte) di Felice Serino
letto da Angela Greco
di Angela Greco
Felice Serino poesia-
D’un trasognato dove è la nuova silloge poetica di
Felice Serino, realizzata in collaborazione con
l’Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano;
cento poesie scelte nell’ambito di una vasta
produzione sensibile ai temi dal sociale allo spirituale,
sempre esternata con caratteristica gentilezza e
partecipazione. La scrittura poetica di Felice Serino è
breve, incisiva, toccante, colta e colma di richiami a
quella sfera dell’esistenza da cui tutti proveniamo e a
cui tutti torneremo. La forte spiritualità dell’autore è
un balsamo per il lettore, che anche in questa scelta di
testi, può incontrare se stesso e l’altro da sé in versi
sintetici, dotati di forza e passione, particolarmente
efficaci in relazione alla generazione poetica di chi li
sta affidando alla carta.
Il testo assomiglia ad un cielo serale (e credo non a
caso la copertina) punteggiato da stelle – cento – tutte
volte all’attesa e alla metaforica vista del giorno, della
maggior luce, di quella nuova prospettiva a cui lo
stesso autore anela e che può essere intesa come
un’armonia cosmica in cui ciascuno finalmente sarà in
grado di comprendere quello che in questa vita gli è
precluso. Felice si interroga ed interroga in questi
versi, scuote la tranquillità, ricorda, condivide e
soprattutto spera, percorrendo una strada a cui il
lettore è invitato, fornendo finanche le domande
necessarie per incamminarsi su questa via. E la poesia
è il mezzo per seguire questo itinerario introspettivo.
L’ultima parte del testo, quella che raccoglie poesie
dedicate, fa battere il cuore con tono maggiore,
riconsegnando il lettore alla storia e alla società
attuali; nelle ultime pagine la voce dell’autore si
rivolge ai vari destinatari con tutta l’umanità dei suoi
anni vissuti, affiancando figure di santi e di giovani,
che hanno lasciato fortissimi insegnamenti, quasi a
voler idealmente segnare gli estremi entro cui
includere tutta la vita stessa dell’uomo, dal punto di
partenza alla meta finale. [Angela Greco]
.
Poesie tratte da D’un trasognato dove di Felice Serino
Altra veste
un vedermi lontano
io che vesto parole
di carne
alfabeti di sangue
da me lontanissimo
ché ad altra
sembianza anelo
per voli su mondi
ultraterreni
§
Cielo indaco
confondersi del sangue con l’indaco
cielo della memoria dove l’altrodi-
te preesiste – sogno
infinito di un atto d’amore
§
Senza titolo
al di fuori di me –
io stesso luogo-non-luogo –
mi espando
di cerchi concentrici è il lago
del mio spirito: sasso gettato
dal capriccio della musa
fremito d’acque e stelle
§
Alta Engadina
diario [mentre “mi” scrivo spiando
il mondo da qui tra terra e cielo]
è il caso di dire
un bianco
da ferire gli occhi
la parete del
ghiacciaio
riflettente una luce
quasi
ultraterrena
a bucare la notte
-mentre qui
mi scrivo
§
In divenire
appoggiato alla spalliera
d’aria del divenire
tu –
arcoteso
futuro anteriore o
tempo che ti mastica
sangue del pendolo
§
Un appiglio
giorni sui precipizi
vivendo
in braccio a capricci del vento
…un appiglio sarebbe il cielo
a rinascere
in echi d’inchiostro?
§
Sospensione
un camminare nella morte dicevi
come su vetri non conti le ferite
aspettare di nascere uscire
da una vita-a-rovescio
riconoscersi enigma dicevi
di un Eterno nel suo pensarsi
*
Felice Serino è nato a Pozzuoli nel 1941. Autodidatta.
Vive a Torino. Copiosa e interessante la sua
produzione letteraria (raccolte di poesia: da Il dio-
boomerang del 1978 a La luce grida del 2013); ha
ricevuto numerosi premi e riconoscimenti e di lui si
sono interessati autorevoli critici. E’ stato tradotto in
sette lingue. Intensa e prolifica la sua attività
redazionale visibile anche on-line. Scrive su vari blog.
(dal testo)
Recensione a “Frammenti di luce indivisa” di Felice Serino
(centro studi Tindari Patti, nov. 2015)
Qualcosa illumina l’aria ed è un sentimento, la forma
di un respiro accogliente che rigenera come un vento
che è dentro la parola e si espande, perdendosi, in
infiniti suoni a salire. S’io potessi cogliere la misura,
la cifra di questo sentire che accarezza e pungola,
farei senz’altro ammenda che la vita è mistero
imperscrutabile, arte a proteggerci dai sogni
tremolanti la notte, nel tempo di amore, appena
plasmata la stanza nel corpo ritagliato da una luce di
candela. Mi piace immaginarla così, tenuta da una
piccola fiamma tra la mente e il cuore, la voce che in
Felice Serino approda a questa comunione di sguardi
fratelli, venuti a raccogliersi piano nel segno della
luce calda e divina, nella sagoma d’un solo altissimo
respiro:
prima del tempo
non c’era che amore
quello-che-muove
il-mondo
danza nel cielo
della Luce -pensiero
della notte
a scalzare le tenebre
“Frammenti di luce indivisa”: ha questo titolo davvero
bello la silloge che il poeta mette in stampa affinché ci
colga da subito pienezza e fragilità d’un canto da cui
discendere, o salire appunto, nel medesimo barbaglio,
in un solo grande abbraccio di luce a raccoglierci, a
definirci:
filtra raggio verde
dalla porta
della conoscenza
vi accede l’anima
-assetata in estasi
sanguinando amore
scintilla interminabile di occhi inconclusi eppure
trattenuti nella stessa ferita, nella stessa livida vitalità.
Poesia d’apici e di gemme, si direbbe, ricamata sul
lembo dell’aurora appena senti che qualcosa diviene
come un dolore che innalza, germinando, tutta la
vocazione a esserci in perfetto amore: perché amore è
già nell’occhio che sente, invoca, reclama l’urto
d’ogni domanda; la misteriosa faccenda del cuore solo
e multiplo, del Dio dei confini tra la vita e la morte:.
la vita ha in tasca la morte
-siamo noi
divino seme:
non è che un perpetuo
tramare
“cospirazioni” del nascere
miracolo d’amore
e poi ancora:
lanciarmi anima-e-corpo
contro fastelli di luce
specchiarmi
nella sua “follia”
e tu a dirmi: Lui
l’irrivelato
nasconde il suo azzurro – è
lamento amoroso
Ecco, questa dimensione spirituale, trafitta
d’implacabili singulti onirici, che accompagna tutta
l’opera e la tiene in bilico sull’argine tremolante di
continui interrogativi; questo cercare
ininterrottamente un segno, che svirgoli e sveli di qua
e di là dal sogno l’intangibile immanenza del vero,
immarcescibile segreto d’esser sangue nella lingua di
Dio, unica strettoia possibile, nel tentativo di
comprendersi d’infiniti frammenti; questo
sorprendersi fieri d’ogni possibile destino, incolpevoli
eppure miseri, mendici e mentitori per ricomporsi
umani quanto basta:
dammi Signore
un collante di passione
-atto di fede
che snudi il giorno per
fissare nel blucielo
brandelli d’amore
pezzetti
di me
Tutto questo è rintracciabile e altro ancora, in
un’opera piena di vertigini giacché densa e altissima,
profondissima, surreale, dove l’irreprimibile albero
si rinnova, nominandoci:
cogliere una piccola morte
nello strappo di radice
dove altra ne nasce
dal suo grido
cogliere l’inesprimibile
di questo morire
che s’ingemma d’eterno
E’ questo rinnovarsi in uno strappo, tutto il dolore che
il poeta asseconda, portandosi altrove, lievemente,
arrovellandosi, dal buio staccando la parola, goccia a
goccia, sterminata preghiera del cielo e del mare in un
corpo che non vorrebbe peso:
non puoi spiegarlo
alla bimba dagli occhi di luna
se non l’ha mai visto prima
se non è rimasta rapita
dal ricrearsi sull’acqua
di riflessi dorati
-ed è poesia…
lei può solo sognarlo – il mare –
come una carezza di vento
salato e spazi
aperti e voli…
vederlo nel proprio cielo
alla stregua in cui s’immagina
un altrove chiamato paradiso
e ancora...
si vive
per approssimazione
si sta come
d’autunno…
di ungarettiana memoria o
dall’origine
scollàti dal cielo
a vestire la morte
… fino
al fiume di luce che
ci prenderà e saremo
un’altra cosa…
congetture
… ma lasciatemi sognare
un sogno che non pesa
Ecco: vorrei poter concepire una lettura che ne
rievochi il battito; la sublimata cadenza dei versi a
punteggiare un cielo nel cuore; vorrei restituire il
movimento, nudo, degli occhi, a spalancare ogni
possibile umore del sangue; vorrei poter dire con
Serino che anch’io “da fenditure di un sogno/ spio il
mondo; e forse anch’io vorrei “preesistere” all’amore,
“gabbiano nel fondo degli occhi”, “veleggiato
impastato di luce”, sparire come “chi in sogno segua
una successione di stanze” e uccelli vede uscire dalla
testa e “nel becco i versi d’una vita”. Ma poco rende il
mio occhio, lo so; poco la mia parola che invoca le
viscere e anche il mio sangue coltiva il fiore che non
so dire. Così attendo alla capacità dei singoli
d’innamorarsi d’un fiore di poesia; al sentimento di
chi gli accosti l’orecchio, perdendosi quanto basti ad
ascoltarne il battito perché ne ricavi unguento e
bussola, donde un filo di luce tremebonda gli dia la
formula che il poeta aveva tra i versi nascosta, mentre
saliva sanguinando in bellezza la poesia.
Giovanni Perri
FRAMMENTI DI LUCE INDIVISA
di Felice Serino
Il titolo di questa raccolta di poesie di Felice Serino è
un ossimoro. Indiviso è, letteralmente, ciò che non è
stato diviso, che non è possibile frazionare. Eppure,
qui, la "luce" è stata ridotta in "frammenti". Dunque,
sembra esserci una contraddizione nel titolo, il quale,
tuttavia, suggerisce il tema fondamentale che
attraversa tutta la silloge, e cioè la difficoltà di
rappresentare, di tradurre in parole, in versi ciò che si
dà solo nascondendosi e che lascia di sé delle tracce,
dei "frammenti" restando "presenza" inespressa, unità
indivisibile e inafferrabile nella sua pienezza, nella
sua misteriosa, "oscura" luminosità. E qui l'ossimoro
caratterizza la natura della "luce": di essere essenza
aletheica 1), manifesta e, al tempo stesso, ineffabile.
Fuor di metafora, la "luce" è la creazione, la poesia
stessa ed è la bellezza che essa emana, in quanto
sorgente da cui sgorgano le immagini, le visioni, i
lampi che aprono al poeta il cammino lungo i "bui
corridoi di parole dove/ una quartina balenante e poi
indistinta/ vuol farsi luce ma quasi per sfida/
inafferrabile si fa/ gioca a nascondino con lui preso/ di
sorpresa nei suoi vortici...ahi!/ sprovveduto poeta che
non sa/ raccogliere in tempo un sangue vivo". Questi
versi, insieme con altri testi, appartengono alla
sezione "Ladro di parole": titolo che, se da un lato,
sintetizza quell'impossibilità di cogliere pienamente la
Bellezza, la quale è "spirito vitale" che nutre la sua
vena creativa e gli "ribolle" dentro come sangue,
dall'altro lato, indica il "mestiere" del poeta, il quale,
sognando e agognando l'irraggiungibile meta, si
ritrova a percorrere e a inoltrarsi nel bosco del
linguaggio in cerca delle parole più adatte a rendere
l'amore e la passione che lo governano e che egli tenta
di catturare, di sottrarre, di strappare all'oscurità che
sempre incombe lungo i sentieri della creazione. Ma
ciò che egli coglie sono appunto i "frammenti" di una
"luce" che filtra tra i rami inestricabili
dell'impenetrabile foresta dei segni che, diventando
simboli, partecipano di quella oscurità luminosa, di
cui rimandano appena un lucore che non lascia
rifulgere l'angelica bellezza, in virtù della quale il
nostro poeta si sente trascendere senza però che riesca
ad esprimerla. ("a trascendersi in me/ è forse un
angelo/ (...) mi asseconda/ a snudare la bellezza/ da
frammenti di parole e suoni/ qui nel mio sangue/ ecco
si leva il fiore/ che non so dire"). In Serino, il
desiderio d'infinito è più forte del dolore, del senso
d'impotenza, del sentirsi preda del caos degli eventi.
Una grande fede lo sorregge nel faticoso cammino
esistenziale e non lo fa desistere dalla ricerca
dell'assoluto, dal quale l'atavica caduta ha allontanato
l'uomo gettandolo nel "mare-mondo", in una distanza
che sembra incolmabile. Ristabilire il contatto col
cielo è possibile "se il precipitare/ in se stessi è in
vista di risalita". Fede e speranza permeano questa
silloge, ma è la poesia a determinare quello slancio
verso l'infinito.
Perché essa è brama, è quella sehnsucht, quel tendere,
alla maniera dei romantici, verso qualcosa
d'inattingibile che, per Serino, è la "luce indivisa"
della creazione: l'origine divina da cui tutto si è
generato e verso cui tutto tende a ritornare. Ed è
quell'oltre, dove "non c'è ombra", dove la visione sarà
chiara; dove, secondo l'insegnamento di San Paolo,
guarderemo "faccia a faccia" e non più "per speculum
in aenigmate". Lì, l'uomo conquisterà la piena
conoscenza, prenderà posto nella verità, si riconoscerà
parte del Tutto che è in lui. Sarà come specchiarsi
nell'Aleph, in quell'unità, in quel principio, in quel
punto che per Borges è l'inizio, il tutto, la fine. E,
dunque, secondo l'intuizione di Serino, la vita e la
morte non sono l'una il contrario dell'altra, e
viceversa; non si contraddicono; anzi, è dalla morte,
dalla creazione ex nihilo che scaturisce la vita, e
perciò "la vita non è prima/ della morte".
Questo stretto legame tra la vita e la morte è presente,
soprattutto, nella prima sezione: "Di luce indivisa",
che riprende il titolo della raccolta. In parallelo con la
morte - con la quale la vita si accompagna ("la vita ha
in tasca la morte") e che è il tessuto di cui la vita
stessa è fatta, un "perpetuo/ tramare/ "cospirazioni"
del nascere"
- è il tema del dolore: "non solo quello/
da carne-urlo animale/ ma sublimato", sentito, vissuto
soprattutto come sacrificio, nello spirito e
sull'esempio del Cristo, come "Passione per la porta
stretta": quella che, come c'insegna il Vangelo,
conduce alla vita e alla salvezza. La figura del Cristo è
ricorrente ed è presente nei martiri della cristianità, in
Agostino, in Madre Teresa, in Gino Strada, ai quali
Felice Serino dedica alcuni testi appassionati, densi di
spiritualità. E non manca, accanto alla fede, alla
fiducia piena nel Signore, al quale egli chiede di
plasmarlo secondo il Suo volere offrendosi ai Suoi
piedi come "sgabello di gratitudine", la terribile
domanda dell'uomo del nostro tempo: quel "Grido"
d'angoscia e di risentimento, al tempo stesso, lanciato
forte verso il cielo e rivolto a un Dio assente o
indifferente di fronte alle immani tragedie e ai mali
che affliggono questo nostro povero mondo. Un
"Grido" che, per la sua carica di dolore e di sgomento,
tanto ricorda l'urlo di Munch. Esso si ripete più volte,
come se volesse percuotere e scuotere le addormentate
coscienze e sollecitarle a "rigenerarsi nell'urlo/ della
Croce". E quest'urlo che sembra squarciare il silenzio
di Dio, scostare il velo del mistero, fa sì che il nostro
poeta si affidi all'angelo custode perché lo "aiuti a
scalzare/ ogni giorno la morte", si senta sollevato
dalla precarietà del vivere e si abbandoni al sogno fino
a contemplare il "fiume di luce" oltre la morte, la
quale egli finisce per negare, nella certezza di essere
da sempre nella mente di Dio e, dunque, di godere già
di una vita eterna, alla quale è impossibile morire. In
Serino, il sogno ha questa funzione "rivelatrice",
escatologica, ma è anche il tuffo nel passato, il
nostalgico "ritorno" alla "verde età fuggitiva", che il
poeta "rivive" in "lampi di visioni".
Non mancano in questa raccolta le poesie a tema
sociale. In "Hikikomori", "l'oriente/ dove cresce la
luce" si perde con la poesia del mondo dietro "le
spalle" dei ragazzi che, fagocitati dalla rete
informatica, s'illudono di vivere esperienze reali senza
rendersi conto di "precipitare" nel vuoto dei rapporti
virtuali, di vivere "vite separate tra l'ombra e l'anima",
ovvero, quella condizione di «solitudine multipla» che
il sociologo Aldo Bonomi ha sintetizzato
efficacemente nel concetto di uomo glocale,
condannato alla solitudine, pure essendo a contatto
con tutto il mondo attraverso il sistema di
comunicazioni in cui è immerso. In "Borderline", il
poeta rivolge uno sguardo pietoso ai miseri, ai
diseredati, ai poveri "cristi" traditi dalla vita, prima
ancora che dall'indifferenza degli uomini. Nell'ultima
sezione: "Dediche e trasfigurazioni", sono ricordati
eventi tragici (l'11 settembre), le vittime per la
giustizia, e personaggi, ovviamente cari al poeta,
come l'amico Flavio, i poeti Ungaretti, Alda Merini,
Rimbaud, Whitman; lo scrittore Hemingway; il
filosofo mistico Swedenborg; l'attore James Dean; S.
Francesco. E ritornano gli emarginati nella figura del
clochard, "puntato a dito/ quest’uomo fatto/ torcia/ per
gioco". In questa silloge, che può essere considerata
una "biografia" dell'anima del nostro poeta, troviamo,
proprio tra le dediche, una poesia in cui egli parla di
sé, del proprio "male di vivere" che riesce a
respingere, a ricacciare indietro, come un "satana",
trovando la forza nella nuova luce dello sguardo
dell'anziano con il quale si accompagna e i cui
semplici gesti, un sorriso, una parola gli fanno
riscoprire il senso e il piacere della vita. E questa
riscoperta è la meta, che dà inizio e valore al cammino
dell'uomo e del poeta Felice Serino.
Guglielmo Peralta
1) il termine è mio, derivato dal greco aletheia:
svelamento, rivelazione, nel senso heideggeriano di
non essere nascosto dell'ente.
Felice Serino, Frammenti di luce indivisa (poesie scelte) letto da Angela Greco
Frammenti di luce indivisa – poesie scelte è l’ultima
opera di Felice Serino pubblicato dal Centro Studi
Tindari-Patti (ME) nel mese di novembre 2015 (dello
stesso Autore Il sasso nello stagno di AnGre ha
ospitato anche la precedente raccolta poetica uscita
nel 2014).
Il testo è articolato in cinque sezioni (Di luce indivisa;
Dai cieli del sogno; Ladro di parole; In divenire;
Trasfigurazioni e dediche) comprendenti una
selezione di testi poetici che abbraccia i temi
emblematici della poetica di Felice Serino: lo spirito,
il rapporto con Dio, il proprio vissuto e la propria età,
il sociale, ovvero quei motivi vicini ed universali che
hanno colpito la sensibilità del poeta e che egli ha
voluto “fermare” sulla carta. Sono attimi, frammenti
appunto, catturati tra le esperienze quotidiane del
corpo e dell’anima, momenti che Felice Serino vive
profondamente e restituisce al lettore alla luce della
sua esperienza del mondo. Quindi frammenti di luce
non divisa, unita, indivisa appunto, come recita il
titolo, perché ogni cosa, ogni persona, ogni incontro
con l’umano e con il l’oltre-umano, per Felice è parte
del tutto, è scintilla, raggio, che fa parte di quella luce
maggiore qual è la Vita, intesa nel suo tratto terrestre e
nel suo prosieguo oltre la stessa. E anche la Poesia
diventa un modo di partecipare ad un progetto più
grande del mero scrivere, di quell’atteso emozionare
che principalmente è chiesto ad una poesia, divenendo
in questo caso strumento di crescita soprattutto
spirituale; elemento, quest’ultimo, in cui l’autore si
ritrova pienamente.
E’ una poesia dal tono asciutto, dal verso breve (come
già nella precedente silloge di cui abbiamo avuto
modo di apprezzare qui su questo blog), incisivo e
colmo di studio, di preparazione sull’argomento,
come ad esempio quando ‘parla’ Sant’Agostino a
pag.23 (Si dice di Agostino), dove il poeta dimostra di
aver ruminato il fatto filosofico, rendendolo in parole
comprensibilissime, semplici come di francescana
memoria.
Una nuova scelta di poesie, dunque, quest’ultima di
Felice Serino, dove non dispiace trattenersi e perdersi,
approfondire e apprendere, accompagnati pagina per
pagina dalla matura serenità dell’autore, che emerge
in una dolcezza che non lascia non indifferente il
lettore. (Angela Greco)
*
poesie tratte da Frammenti di Luce indivisa (Centro Studi Tindari-Patti, 2015)
L’angelo
.
noi lacere trasparenze
-sostanza di luce e di sangue-
a superare d’un passo la morte
.
solleva l’angelo un lembo di cielo
svela l’altra faccia del giorno
(pag.19)
*
Vortice di foglie
.
distrazione
del Supremo – dici – la nostra parte
mancante? ovvero caduta
d’angelo nel mare-mondo?
.
non siamo
che un vortice di foglie…
.
ma se il precipitare
in se stessi è in vista di risalita
(alla notte
segue il giorno)
.
allora non esiste
–sai- chi potrà recidere
questo cordone ombelicale col cielo
(pag.43)
*
Congetture
.
si vive
per approssimazione
.
si sta
come d’autunno…
di ungarettiana memoria
.
o
dall’origine
scollàti dal cielo
a vestire la morte
…fino
al fiume di luce che
ci prenderà e saremo
un’altra cosa…
.
congetture
.
… ma lasciatemi sognare
un sogno che non pesa
(pag.49)
*
Venne a trovarti la poesia
.
giunse come un vento lieve
a frugarti le pieghe
dell’anima
e guidandoti verso stanze
inconsce
mondi paralleli ti apriva
.
… ora sperimenti
il tuo daimon
-a divorarti
per sempre
(pag.72)
.
Felice Serino è nato a Pozzuoli nel 1941; autodidatta.
Vive a Torino. Ha pubblicato varie raccolte: da Il dio-boomerang
del 1978 a D’un trasognato dove del 2014.
Ha ottenuto importanti riconoscimenti e di lui si sono
interessati autorevoli critici. E’ stato tradotto in sei
lingue. Intensa anche la sua attività redazionale. Tutta
la sua opera è visibile on-line.
SEGNALAZIONE VOLUMI = FELICE SERINO
FELICE SERINO : “ LA VITA NASCOSTA” - Ed.
Il mio libro – 2017- pagg. 368 - € 22,00 ----
Con una propria narrazione pacata e teneramente
cucita Felice Serino (1941) riesce a realizzare volumi
di poesia concepiti nel ritmo musicale corposo e ricco
di sfumature , validamente sostenuto dalla sua
intaccabile coagulabilità di autodidatta. Poesie scritte
tra il 2014 e il 2017 , e qui sciorinate in capitoli :
“trasfigurati aneliti” , “nell’infinito di noi” , “lo
sguardo velato”, colmi di partecipazioni oniriche , di
illusioni visive , di fragili vertigini, di aneliti di
infinito , di vaghe chimere , di indicibili essenze.
“Ha un titolo davvero bello – scrive Giovanni Perri in
prefazione – la silloge che il poeta mette in stampa
affinché ci colga da subito pienezza e fragilità di un
canto da cui discendere , o salire appunto, nel
medesimo barbaglio, in un solo grande abbraccio di
luce a raccoglierci, a definirci : scintilla interminabile
di occhi inconclusi eppure trattenuto nella stessa
ferita, nella stessa livida vitalità.”
Un tipo di poesia che fa leva sugli occhi, sulle
capacità visive policromatiche degli occhi, questo
organo della vista che ci permette di vedere, a volte,
cose inaudite se accompagnato e potenziato dalla
immaginazione. In questa poesia, da un semplice atto
di osservazione, l’autore ricostruisce tutto un universo
di sensazioni, di percezioni, di idee che altrimenti
sarebbero rimaste nel buio del non-detto. Con la
freschezza degli spazi precisi e centrati , con la
tensione condivisa e affascinante degli incantamenti,
Felice Serino ripropone i suoi esperimenti stilistico
formali, ricchi di figure retoriche di armoniose e
ampie declinazioni, mostrando le possibilità che la
parola , povera e sussurrata , scopre nel fermarsi e
fuggire, con levigatezza e nitore. L’alba e il tramonto,
la primavera e l’autunno , l’amore e la morte , le vele
e i sussulti , le nudità e i tumulti , vanno oltre il
ripiegamento solipsistico, ove la superficie della tela
ha la ricchezza di sinestesie e di nascondimenti
coloristici, quasi a suggerire toni e controcanti in
emblemi e stilemi.
*
ANTONIO SPAGNUOLO
http://antonio-spagnuolopoetry. blogspot.it/2017/05/segnalazione-volumifelice- serino.html
nota di lettura a “La vita nascosta” di Felice Serino
(di Giovanni Perri)
E’ appena uscita, nei tipi “Il mio libro”, l’ultima
raccolta di poesie di Felice Serino “La vita nascosta”
(pagg. 368, euro 22; 2017): un volume corposo a cui il
poeta ha dato impegno e abilità nel combinare forme
quasi al limite della palpabilità, tale è la materia dei
suoi versi, sempre indicativi d’un limite da
attraversare, una soglia variamente percepita a
memoria di palpito o sollievo, come segnata a
margine di un sogno. Ed è inconcluso e
sovratemporale il sogno, girato nel cono di luce che lo
svela.
Serino ha questo progetto di magia nei versi: poesia
come attraversamento e sosta, domanda nella risposta;
inventario di formule aeree illuminate e illuminanti:
quasi fosse un tragitto segreto tra pareti di vetro da cui
vedere. Spesso si nota un tentativo di infrangere il
vetro, magari con un urlo, magari l’urlo fa solo
tremare il vetro, ma quel tremore basta poco a capire
che è la sostanza del nostro mondo interiore: un
mondo clessidra, pieno di feritoie e nascondigli, tutto
paure e desideri, bagagli con dentro il timore della
felicità. Perché felicità è il Dio ascoso a cui Serino
pensa con tutta la gravità possibile, cucendo lo strappo
dell’amore-inquietudine, nella dicotomia
essere/apparire, nella indomabilità del respiro di ogni
minima luce da cui ripartire, nel desiderio di
trascendere ogni possibile forma. Serino ausculta ed
espande le onde magnetiche di un attrito originario: il
battito del tempo, l’indefinita sosta nel regno dei
sensi, ogni distanza immaginabile: ed è un vedere ad
occhi chiusi ovvero un percepire, un ballare la danza
obliqua della morte sublimando la vita nel brillìo di
tutti i suoni.
Al centro la cifra altissima di versi capaci
dell’azzurrocielo e del neromare, della terra che ha
voce di uomini fatti angeli, vortici dove perdere mani
e parola perché è lì la Vita nascosta, la forma entro cui
è combinato ogni flash di pensiero, ogni sussulto
capace di portarci in un altrove ri-generante.
Giovanni Perri
http://poesiaurbana.altervista.org/nota-lettura-la-vitanascosta- felice-serino-giovanni-perri/
Recensione a “La vita nascosta” di Felice Serino
Di Donatella Pezzino
Il poeta: sognatore, visionario, angelo caduto. Nel
caso di Felice Serino, anche viandante. La cui strada
sta in quella sottile zona intermedia tra il mondo
sensibile e la dimensione trascendente. Per questo
viandante, la vita stessa è viaggio; una ricerca
continua e instancabile, un afflato spirituale, prima
ancora che lirico, verso quell’oltre che ogni realtà
sembra sempre celare in sé. Non a caso, “La vita
nascosta” è il titolo della pluriennale raccolta di
liriche nelle quali, dal 2014 al 2017, l’anima del
viandante si è voluta raccontare, riversare, svelare:
nelle dolcezze dell’attimo, negli inciampi sotto la
pioggia battente, nei vuoti incolmabili, nelle domande
senza risposta; nei lunghi dialoghi con sé stessa e con
Dio. Questo è Felice Serino, fine artigiano di sogni
reali e di realtà sognante, aedo di una dimensione
parallela in cui tutto parla con il linguaggio perfetto,
intellegibile solo all’anima: il silenzio. E in Serino il
silenzio racconta i ricordi, le lotte, gli affanni segreti;
facendosi racconto di un lungo percorso verso quel
punto luminoso e vitale che, lungi dall’essere il punto
d’arrivo, diventa abbandono catartico. In questo
percorso, l’anima errante si fa parola, e parola
silenziosa; in quella contemporaneità di passato,
presente e futuro che è, in fondo, la vera estensione
del nostro vissuto. Come ogni silenzio, anche la
parola silenziosa di Serino è coincidenza di opposti:
tutto e niente, vita e morte, trascendenza e
immanenza, carne e spirito. In quanto tale, ogni parola
è un infinito: di voci, di suoni, di odori; di ricordi, di
percezioni; di gioie incontenibili e di dolori laceranti.
Quante cose quindi potrà raccontare? Quante potrà
fare emergere dal cuore di chi sa ascoltare? Per
questo, in Serino l’autore si fa, più che creatore,
scultore del verso: uno scultore sensibile e amorevole,
che rivela, sbozza, combina forme e sfumature; senza
mai eccedere, perché la bellezza, così come la verità,
sta sempre nel giusto, nell’armonico, mai
nell’eccesso. Ecco perché ogni poesia di questo autore
spicca per la sua moderazione: nei colori soffusi,
quasi un bianco e nero appena rosato; nel numero dei
versi, pochi e intrisi di dolcezza, anche quando in essi
è il grido dirompente, lo strazio esistenziale, la
malinconia che corrode. Un fiore esangue,
spampanato già al suo sbocciare: perché nei suoi
colori, l’occhio dell’anima vede già come fatto
compiuto quel trascolorare che della morte ha solo
l’apparenza, ma che in realtà manifesta la vera
essenza della vita. Lo spirito: ecco la dimensione nella
quale tutta la poesia di Serino si fa carne e sangue, per
sublimare poi nella fede ciò che per altri è destinato a
rimanere puro male di vivere. In Serino, la coscienza
del dolore è ferita aperta: viva, bruciante, inguaribile.
Eppure, il dolore è luce. Che ci guida, che ci sostiene.
E che pure è possibile amare:
pure
ami la luce
ferita:
chiedile
delle infinite crocifissioni
fattene guanciale
in notti di pianto
Una fine che è dentro ogni inizio: perché andare
avanti è un guardarsi indietro, dove uno specchio
moltiplica all’infinito le nostre contraddizioni:
Luce ed ombra rebus in cui siamo
impronte di noi oltre la memoria
forse resteranno o
risucchiati saremo
ombre esangui nell'imbuto
degli anni
guardi all'indietro ai tanti
io disincarnati
attimi confitti nel respiro
a comporre infinite morti
C’è ovunque, in questo voltarsi indietro, un forte
senso delle cose perdute: non puro e semplice
rimpianto, ma quasi una cancrena, cresciuta nella
parte più nascosta del cuore per poi radicarsi in ogni
punto della carne, fino a creare un velo tra noi stessi e
la nostra capacità di rapportarci al presente:
pensando a te vedo
il vuoto di una porta
e dietro la porta ricordi
a intrecciare sequenze indistinte
sogni e pensieri asciugati
mentre un sole
di sangue s'immerge nel mare
Il presente, in questo senso, si configura come una
lunga sequenza di déjà-vu, intrecciando il vissuto alla
memoria, e le immagini dei luoghi sognati a profumi
realmente accaduti:
del luogo sente quasi il profumo
salire dalla terra
lo spirito che si piega
a contemplare
gli sembra di esserci già stato
o forse l' ha sognato
... e quell'albero vetusto
sopravvissuto
a suo padre a fargli ombra
a occultargli
in parte l'ampia veduta
del mare quello stesso mare
che vide i suoi verdi anni
e il vissuto
(come in sogno) divenuto
lontana memoria
Il mare, la terra, la giovinezza; la visione, il ricordo, e
poi, più profondamente, la coscienza di sé, nuda,
scarna. Un sé da cui la morte, prima ancora che la vita
ci abbia detto chi siamo, ci separa, ci libera,
stemperandoci amnioticamente nelle acque di un cielo
in cui la rinascita è al tempo stesso un ritorno.
alla fine del tempo
è come ti separassi da te stesso
in un secondo ineluttabile strappo
simile alla nascita
quando
ti tirarono fuori dal mare
amniotico
luogo primordiale del Sogno
stato che
è casa del cielo
Nella morte tutto, forse, sembra acquisire un senso
nuovo: perché in quel distacco, paradossalmente, il
mondo ci possiede come mai quando eravamo in vita:
ritenere antinomia
la morte - la tua
come un abbaglio o un
trapassare di veli
e nel distacco
quando
il mondo senza più te sarà
impregnato della tua essenza
" leggerai" il tuo
necrologio
pagato un tanto a riga
Non manca, in queste liriche, l’appello al sogno come
via di salvezza dalla più scabra disillusione: ma lo
scandaglio, minuzioso e severo, sembra non avere
esito certo. La domanda resta appesa; gli anni a
tremare, indistinti, nella loro stessa ombra. E’
l’indefinito, uno dei motivi più forti e pregnanti di
tutta l’opera: quel punto cartesianamente evidente,
chiaro e distinto, l’unica verità delle cose che, in
ultima analisi, ci è data di conoscere.
è nello spazio delle attese
nel bianco del foglio
nel buco nero del grido di munch
l'indefinito
è nell'aprirsi del fiore
nel fischio del treno in un lancinante addio
nell'intaglio
dello scalpello su un marmo abbozzato
l'indefinito è in noi
sin dallo strappo
di sangue della nascita
Non esiste antidoto alla nostra piccolezza, alla nostra
finitezza: tutte le riflessioni, anche le più raffinate, ci
portano sempre allo stesso vicolo cieco, alla stessa
prigione di carne e sangue dove lo spirito soffre,
ricorda, ama. Per questo il viaggio, seppure inquieto e
periglioso, è preferibile alla quieta stasi di una stanza
chiusa: “forse meglio l'attesa/a dipanare e sdipanare le
ore/che l'appagamento/senza più desideri”, perché il
bisogno di desiderare è insito nella stessa condizione
umana; quasi come l’atto del respirare, in cui un
respiro ne attende un altro, e poi un altro ancora, per
permettere al corpo di continuare a vivere. E’ questa
attesa che rende l’uomo, pur nella sua limitatezza,
arbitro del suo destino; all’interno, però, di un disegno
più grande da cui
Serino, in quanto uomo di spirito e di fede, non può
prescindere:
chi mai ti toglierà quel posto
da Lui riservato
secondo i tuoi meriti
altro è la poltrona
accaparrata a
sgomitate
trespolo che pur traballa
come in un mare mosso
finché uno tsunami
non la rovescia la vita
Chi è il Dio di Felice Serino? Da un filosofo,
costantemente proteso al fine lavoro speculativo,
potremmo forse aspettarci qualcosa di complesso, di
aristotelico, che ci spieghi in qualche modo i grandi
quesiti dell’esistenza. Invece, il Dio di Serino è
amore. Solo e semplicemente amore, e conoscibile in
quanto la nostra anima ne costituisce il riflesso:
noi siamo proiezione di Dio
e come angeli incarnati
del nostro Sé
similmente di noi
i nostri figli
-frecce scoccate oltre
il corpo
dall'arco teso dell'amore
E’ il Dio dell’infanzia, della semplicità: dei lunghi
colloqui del bambino con il proprio angelo custode,
della vita dopo la morte, dell’eternità di quella Luce
che culla e conforta l’anima alla fine del viaggio:
la Tua luce
abita la mia ferita
che trova
un lieto solco
nel suo risplendere
Tu
a farti bambino ed ultimo
per accogliere
il nomade d'amore
dalle aperte piaghe
Piaghe che rimandano ad altre, più profonde e
traboccanti: le piaghe della Passione, il cui rosso
sangue diventa, come l’ultima luce del cielo al
tramonto, faro di salvezza per le anime disperse nei
marosi della vita:
acqua mutata in vino
perché continui la festa
così al banchetto del cielo
con l'Agnello sacrificato
acqua e sangue dal Suo costato
dal sacro cuore vele
le vele rosse della Passione
nella rotta del Sole
per gli erranti della terra
E, seguendo questa rotta, si arriva; come è accaduto
alle anime piccole che hanno creduto, e che chiudendo
gli occhi hanno visto, attraversando il fango del
mondo senza restarne macchiati, come espresso in
questi versi dedicati a Madre Teresa:
la verità è il tuo sangue
che vola alto
planando
su celestiali lidi
oltre
le sere che chiudono le palpebre
sul cerchio opaco del male
http://poesiaurbana.altervista.org/recensionedonatella- pezzino-la-vita-nascosta-felice-serino
SEGNALAZIONE VOLUMI = FELICE SERINO
Felice Serino – “La vita nascosta” - (poesie 2014 – 2017)
Copyright 2017 by Felice Serino
Felice Serino, nato a Pozzuoli e residente a Torino,
autodidatta, è un poeta che ha ottenuto numerosi
consensi critici e che ha vinto molti premi letterari. Ha
pubblicato diverse raccolte di poesia.
Gestisce svariati siti su Internet di ottimo livello e
qualità, che ospitano anche poeti prestigiosi. E’ stato
tradotto in otto lingue.
“La vita nascosta” è un’opera corposa nel suo
racchiudere le raccolte del Nostro “Trasfigurati
aneliti” (2015) e “Nell’infinito di noi” (2016) ed è
corredata da una presentazione di Giovanni Perri ricca
di acribia.
Cifra essenziale, che connota la poetica del Nostro, di
raccolta in raccolta, è una vena originalissima che
parte da una visione del sacro, visto sia in maniera
trascendente che immanente. Serino si pone nei
confronti della realtà, del mondo, del cosmo, che nella
nostra contemporaneità spesso diviene caos,
inizialmente come creatura che anela ad un essere
superiore tramite una religiosità che supera e va oltre
le forme confessionali e ritualistiche della Chiesa.
Sono spesso nominati da Felice Dio, Gesù, la
Madonna e soprattutto gli angeli, ma il poeta non cade
nel dogmatismo, credendo in un amore interessato per
Dio, in un rapporto con Lui non mediato, tipico dei
mistici, e che trova la sua realizzazione, il suo
inveramento proprio attraverso, le sue poesie, che
presentano unitarietà del discorso e coerenza. Proprio
in questo modo e in tal senso egli da creatura si eleva
a persona, che vive criticamente in una società,
relazionandosi con essa secondo una sua
personalissima visione del mondo. Tema essenziale
del suo “riflettere in versi” è quello dell’amore per la
vita, che lo porta ad una certa forma di ottimismo. Per
Serino l’esistenza umana è degna di essere vissuta e
anche la morte non è considerata come la fine di tutto,
ma come il passaggio dalla transitorietà all’eternità.
Non solo i contenuti sono originali nel poiein
dell’autore, ma anche la forma dei suoi testi in
massima parte brevi. Il poeta attraverso gli occhi si
rivolge alle cose che lo circondano, che vengono
trasfigurate in versi, divenendo cariche di senso e di
pathos. Ecco dunque il sentire di Serino in
“Trasfigurati aneliti”, che esprime la stabile tensione
del poeta verso l’universo e anche verso il
microcosmo. Il libro è costituito da 45 componimenti
tutti forniti di titolo e non è scandito in sezioni.
Trasfigurati aneliti potrebbe essere letto come un
poemetto vista la sua unitarietà e tutte le poesie che lo
compongono fluiscono in lunga ed ininterrotta
sequenza e sono risolte in un unico respiro.
S’incontrano diversi interlocutori in questa raccolta, ai
quali l’io-poetante si rivolge, figure che sono Dio,
Gesù, gli angeli e anche esseri terreni dei quali ogni
riferimento resta taciuto. Una vena epigrammatica
connota il dettato del poeta che pratica una poesia
neolirica. Si notano precisione, velocità, leggerezza,
icasticità, grazia e armonia nel versificare di questo
autore. A volte il tema del sacro si coniuga con quello
della classicità, in versi sempre luminosi e
controllatissimi.
In “Nell’infinito di noi”, Serino continua ad elaborare
la sua personalissima e originale ricerca letteraria. La
raccolta è suddivisa in due sezioni, entrambe costituite
da quarantacinque componimenti, “Lo sguardo
velato” e quella eponima. Se la poesia è in se stessa
sempre metafisica, si deve mettere in evidenza che, di
raccolta in raccolta, Felice riesce a produrre
componimenti collegati tra loro che, oltre ad essere
metafisici, sono connotati sempre da un forte alone, o
ancora meglio, da un’aurea di sorprendente
misticismo postmoderno. Il suddetto si può evincere,
sia in testi che hanno come oggetto o tematica figure
tratte dall’immaginario religioso, come il Cristo o gli
angeli, sia quando il poeta proietta la sua vena
trascendente in situazioni del tutto quotidiane, nelle
quali l’io – poetante e le varie figure protagoniste,
dette con urgenza, sono in tensione appunto verso
l’infinito (e qui giocano un ruolo importante le
tematiche della nascita e della morte). Un accentuato
senso del sacro caratterizza “Nell’infinito di noi”.
Esso qui trova la sua espressione estrema, rispetto alle
raccolte precedenti del Nostro, nelle quali già si
notava. Il poeta sembra suggerirci, con il titolo della
raccolta, che noi esseri, come persone, pur vivendo
sotto specie umana, per dirla con Mario Luzi, già nel
nostro transito terreno siamo infiniti e che le nostre
anime sono immortali. I componimenti sono tutti
connotati (e non potrebbe essere altrimenti per quanto
già affermato), da sospensione e magia che si
realizzano nei versi icastici, veloci e leggeri. Stabile è
la tensione verso il limite nella ricerca dell’attimo in
senso heideggeriano, della vita oltre il tempo degli
orologi. Così Serino produce tessuti linguistici pieni
di illuminazioni e spegnimenti, nei quali è visibile una
luce, che è appunto quella di una realtà
soprannaturale, che si proietta tout-court in quella
delle nostre vite, restituendoci una notevole carica di
senso. Particolarmente affascinante, nella sezione
eponima, la poesia intitolata proprio Nell’infinito di
noi, nella quale sono stabili visionarietà, sospensione
e dissolvenza. In questa il tu, al quale il poeta si
rivolge, e del quale ogni riferimento resta taciuto, è
Nina, una figura che, nell’incipit, volteggia nelle
stanze viola della memoria. Qui si evidenzia una forte
tensione attraverso una parola sempre raffinata ed
avvertita. Particolarmente alto il verso apparire o
entrare nello specchio/ dell’essenza, nella quale è
presente una forte valenza ontologica. Nella seconda
breve strofa della composizione il tu afferma che qui
siamo affratellati nel sangue con la terra e la morte.
Poetica mistica, dunque quella di Serino, la cui cifra
essenziale è quella di una parola che scava in
profondità per riportare alla luce l’essenza
dell’esistere in tutte le sue sfaccettature.
Perché il titolo onnicomprensivo La vita nascosta? La
risposta risiede nel fatto che nel mare magnum del
nostro postmoderno occidentale l’umanità è alienata e
vittima del consumismo e del mondo dell’avere che
prevale su quello dell’essere su uno sfondo dove Dio è
morto e i valori non esistono.
I poeti in generale, e tanto più Serino che oltre ad
essere un poeta è un mistico, nel loro pensiero
divergente, trovano la felicità in altri modi e la vita
nascosta di cui ci parla il Nostro è una vita parallela
a misura umana perché sottende l’atto di fede
nell’esistenza dell’eternità e non la credenza nel nulla
eterno foscoliano.
*
Raffaele Piazza
http://antonio-spagnuolopoetry. blogspot.it/2017/06/segnalazione-volumifelice- serino.html
http://www.literary.it/dati/literary/p/piazza/la_vita_nas costa_poesie_2014.html
Riflessioni di Lorenzo Spurio su LA VITA NASCOSTA
(dalla lettera privata del 31 luglio 2017)
Caro Serino,
ho letto il tuo libro e mi complimento con te per
questa estesa e notevole "opera omnia" (lasciami la
libertà di usare questo termine, seppure improprio).
[...]
C'è tanto su cui riflettere (come ad esempio le poesie
nelle quali rifletti sul potere della scrittura) e
l'esigenza che la poesia "respiri", ma finirei per
scrivere un quaderno intero e forse stancare essendo,
queste riflessioni, scaturite dalla mia personale lettura
e possono anche non ritrovarsi nei tuoi intendimenti.
Tra le poesie più ricche e che tanto mi hanno
trasmesso, ci sono
"L'indicibile, "A bocca piena", la dolorosa lirica su
Rigopiano, "Liquida".
*
Qui di seguito sono trascritti i testi delle poesie
menzionate, vi sono aggiunte la prima e l'ultima di cui
nella lettera sono citati dei versi.
Conosco le voci
conosco le voci che muoiono
agli angoli delle sere
conosco le braccia appoggiate
sui tavoli nel risucchio
delle ore piccole
l'aria densa e le luci
che lacrimano fumo
e lo sferragliare dell'ultimo tram
la nebbia che mura le strade
conosco
i lampi intermittenti della mente
i singulti che accompagnano
quel salire pesante le scale
la morsa che afferra e non sai
risponderti se la vita ti scava
e il freddo letto poi fuori
dal tunnel
un altro mattino
per risorgere o morire
*
L'indicibile
dove deflagrano
nude parole al di là
della scrittura
ho cercato nel calamaio del cuore
l'inesprimibile
ciò
che non può essere detto
ho cercato stanze
inesplorate
negli anfratti del mare
le voci
trattenute
nella gola del vento
l'indicibile
nella luce della bellezza
*
A bocca piena
trucidata vita
dai lenzuoli di sangue nei telegiornali
un dire assuefatto freddo
che ti sorprende non più di tanto a bocca piena
che non arriva al cuore
-per quei bambini occhi rovesciati
a galleggiare
su un mare di speranza
la cui patria è ora il cielo
violata la sacralità
vita che non è più vita
vilipesa resa
quale fiore a uno strappo feroce
di vento
*
La slavina
perla nel cuore del Gran Sasso
il "quattro stelle" non esiste più
ghermito dalla mostruosa
mano di ghiaccio
meglio la sorte dei sopravvissuti
ti dici
e ancora sperare
sotto la neve una voce udire
pensi ai familiari perduti
deglutendo caffelatte e lacrime
[tragedia del 18 gennaio 2017]
*
Liquida
è striscia di luce verde
la mente
mentre la forma
assumi
dell'involucro-status quo
alchimie del sangue
nel vestire la vita
il chi-sei
serpeggia
si morde la coda
*
L'essenza
inadeguati noi
gettati nel mare-mondo
legati ad una stella di sangue
noi siamo l'alfabeto del corpo
che grida
il suo esserci
noi essenza degli elementi
appendici della terra
labbra del cielo
Felice Serino, La vita nascosta (poesie 2014 - 2017)
letto da Angela Greco
--------------
sguardi e il tracimare
di palpiti
alle rive del cuore
aria dolce come
di labbra
incanutire di fronde
nella liquida luce
La vita nascosta (2017), di Felice Serino (Pozzuoli,
1941), ultima silloge edita per i tipi “Il mio libro” (in
apertura di questa nota, Sguardi e il tracimare) sin
dall’esordio propone un impegnativo corpo a corpo tra
lettura e lettore sia per l’importante numero di liriche
raccolte, sia per il percorso sacro-intimistico-sociale
che in essa si snoda, attraversando momenti pubblici e
privati, accadimenti reali e propositi a venire, in un
caleidoscopio di sensazioni \ emozioni fedele alla
poetica, allo stile e al tono pacato e garbato a cui
l’autore ci ha felicemente abituati in questi anni da
“autodidatta”, come egli stesso si definisce, rivelando
con una sorta di meraviglia, in riferimento alla Poesia,
l’essenzialità del fatto che in questo comparto non
esistono scuole dove imparare il mestiere, ma, quasi si
avesse a che fare con un destino, ognuno è artefice di
se stesso. Ed in tempi di proclamate e ostentate
scuole-correnti di pensiero non è poco affidarsi a se
stesso, con tutte le conseguenze del caso, non per
presunzione, quanto piuttosto per volontà di
riconoscere fin dove si è capaci di arrivare e
scoprendo, magari, che ogni limite può essere
un’opportunità.
La silloge, introdotta da Giovanni Perri, propone
trecento pagine di testi prodotti nell’ultimo triennio;
un dato, questo, che fa ben comprendere il bisogno e
la necessità che ancora si hanno della poesia, per la
capacità di quest’ultima di riuscire ad esternare quel
che è difficilmente esprimibile in altri modi. La poesia
è, quindi, ancora un bene indispensabile - ed il lavoro
di un poeta di lungo corso dovrebbe far riflettere sullo
stato dell’arte - anche in questi nostri tempi di
presunto futuro rivoluzionario, di cambiamenti, di
distruzione dei valori fino allo sgretolamento della
parte umana dell’essere vivente. Felice Serino crede
nella poesia, come veicolo di miglioramento e di
crescita, tanto del poeta quanto del fruitore della
stessa, e nelle sue liriche racconta il vissuto, porta
materialmente l’esperienza la riuscita e la disfatta con
molta onestà, ad esempio, come si legge in Luce ed
ombra:
luce ed ombra rebus in cui siamo
impronte di noi oltre la memoria
forse resteranno o
risucchiati saremo
ombre esangui nell'imbuto
degli anni
guardi all'indietro ai tanti
io disincarnati
attimi confitti nel respiro
a comporre infinite morti
L’interesse di Serino è senza dubbio l’Uomo, la
Persona, in un’ottica trascendentale, plurale, e mai
personalistica: anche quando il soggetto è l’Io, la
riflessione poetica non si ferma mai al Sé, ma
abbraccia sempre e comunque l’esperienza che può
già essere o diventare patrimonio comune. Serino si
pone come suggeritore, come consigliere, come
insufflatore di positività. Ed ecco, allora, che anche
l’esperienza più drammatica, come la morte, in questo
poeta diventa qualcosa che non chiude, ma piuttosto
apre ad una nuova visione e l’Uomo, nonostante i
difetti, viene ad essere un elemento non attorno a cui
ruota tutto il resto, ma un pezzo di un più grande
disegno di cui si può solo tentare di dire attraverso la
poesia, appunto. Ne La separazione si legge:
alla fine del tempo
è come ti separassi da te stesso
in un secondo ineluttabile strappo
simile alla nascita
quando
ti tirarono fuori dal mare
amniotico
luogo primordiale del Sogno
stato che
è casa del cielo
La poesia di Felice Serino, con la sua concretezza e il
suo vissuto, anche laddove prevale il senso etereo o
metafisico o quando richiama il sacro e finanche nei
riferimenti all’arte, arriva al lettore diretta, mai
sofisticata da espressioni scritte soltanto per destare
scalpore, per mettersi in mostra o per creare un
personaggio; puntuale e delicata anche negli
argomenti più impegnativi, questa scrittura poetica
rende in modo nitido e molto piacevole il frutto di
riflessioni attente e dello studio continuo, sempre
quali esternazioni di un grande amore per la
conoscenza e per la materia vivente, in tutte
le sue forme. Nella verticalità, nel tempo oltre
la vita, nell’augurio di luce e nell’ineffabilità
di cui è vestito il testo di In questo riflesso
dell'eterno a parer mio è possibile leggere i
temi cruciali della poetica di questo prolifico autore,
che mostra senza fronzoli anche una dote poco
comune tra i poeti, la generosità. (Angela Greco)
credimi vorrei dirti che quanto
avviene anche là avviene
oltre le galassie oltre
lo specchio dei tuoi occhi amore
anzi certamente è presente
da sempre in mente dèi
imbrigliati noi siamo in un giorno
rallentato
noi spugne del tempo
assediati da passioni sanguigne
credi mia cara che quanto
avviene semplicemente
lo rappresentiamo
sulla scacchiera del mondo
noi essenze incarnate
in questo riflesso dell'eterno
dove l'anima si specchia
mentre ci appare infinito
mistero la vita - miracolo
tutta questa luce che
ci attraversa
LETTURE E RECENSIONI: DOVE PALPITA IL
MIO SOGNO DI FELICE SERINO
La forza della poesia sta nell'emozione, nella vis
che, nella scabra architettura dei versi, nella loro
intima struttura genetica, riesce a creare empatia tra il
lettore e l'autore, in uno sforzo diegetico che va oltre
il normale sentire.
La lettura di Dove palpita il mio sogno conduce
all’essenza stessa della poetica di Felice Serino,
impulsi creativi che diventano squarci di realtà mistica
e surreale. Parole-simbolo, sprazzi di marmorea
emotività che Serino scolpisce nella loro nudità, senza
infingimenti o barocchismi letterari.
Il poeta rifugge da ogni manierismo lessicale e vive la
propria spiritualità creativa in una dimensione quasi
sincretica in cui la prosaicità della quotidianità sfocia
in proiezioni estatiche: conosco le voci che muoiono /
agli angoli delle sere.(…) e lo sferragliare dell’ultimo
tram / la nebbia che mura le strade(…) e il freddo
letto poi fuori/ dal tunnel/ un altro mattino”.
La palingenesi della natura è un tema costante nella
poetica di Felice Serino che confonde in sé l’umano
finito e un ermetismo di respiro universale: la luce si
spalma / dentro la parola / che di sé vive. Ed ancora
significativamente i versi: non si chiuderà il cerchio
se / come si sa / è del Demiurgo un continuo creare /
infiniti/ mondi-entità col solo sognarsi.
La dimensione onirica, più volte richiamata nei versi,
è il privilegio dell’artista, l’isola dei sensi, del tempo
che non passa e crea, l’eterno divenire dove la Musa
trae la sua forza ermeneutica, il travaglio dell’opera e
dove le assonanze emotive hanno la loro forza
plasmatica.
Felice Serino vive una genuina stagione artistica,
prolifica, raffinata e meritoria. Egli offre nei versi una
lettura nuova della realtà sensoriale che trascina a
sentire le poesie come frammenti di sogni, in cui la
verità è a occhi nudi, che penetra dentro il cuore e la
mente del poeta in una simbiotica ed intima
sofferenza: sei come quell’albero reciso / la cui ferita
bianca / non si vede sanguinare.
Il plasma poetico di Felice Serino, dunque, diventa
lavacro di emozioni, candida essenza di sentimento
nell’incontro con l’umano. Ma la sensibilità del poeta
va oltre l’orizzonte meramente umano, egli, ha ben
chiara la proiezione verticalistica del proprio spirito: i
versi documentano la religiosità dell’autore che si
sviluppa in un tormento che è allo stesso tempo
sicurezza e fonte di ispirazione.
L’afflato della Creazione diventa il “sogno di Dio”
che si capovolge a causa della insipienza umana, di
quell’Adamo, che viene interrogato in modo
pleonastico e che esprime nella sua stessa definizione
tutta la sua limitatezza.
Il poeta è alla ricerca sofferta di un mondo di luce che
rappresenta una moderna pure intima
rappresentazione di un eden perduto, relegato alla sua
inferiore limitatezza dalla caducità di una materialità
imperfetta, a cui solo il sogno può rendere l'anelito a
quello infinito essere che chiude il cerchio tra umano
e divino.
Un plauso, dunque, all'attivissimo e prolifico Felice
Serino che con le sue creazioni riesce sempre a
sorprendere ed emozionare i suoi lettori,
accompagnandoli in un cammino artistico che diventa
anche comunione di sentimenti e di spirito.
By Michele Barbera
Nota di lettura a Felice Serino, “Asimmetrici voli”
di Giovanni Perri
Non c’è volta che leggendo Serino, io non resta
catturato da una luce. Luce immagine essa stessa. E
non c’è volta ch’io non abbia tra le mani la maglia e
ne senta l’esatta materia, la sua nuda trasparenza, lo
smalto, l’eleganza.
Questo il primo elemento: il verso illuminante, da cui
affiorano gli altri.
Ma questa illuminazione, si badi, non è fatta per
indicare qualcosa. Essa non descrive, né è tentata da
alcuna cartografia per poeti raminghi; la mèta è la sua
stessa radice, il suo primo significato, una sorta di
matrice, non so come dire, epidermica, olfattiva. Un
distico esemplificativo ci ricorda ch’essa è come
l'odore della salsedine / del legno bagnato di cui non
può che arrivarci, forse, un’eco sublime come quello
della pelle dell'amore. Ci fa quasi tornare all’embrione
della materia, al suo antichissimo battito dal quale
ogni nostra azione, essendo principio, pretende la fine.
Ed è questo il secondo elemento, mi pare, importante
per riconoscere la consistenza di questa poesia: il
limen. Luce dunque come elemento di confine, di
soglia, ma anche come dimora.
In questo appartenersi avviene il miracolo della
parola, la soglia si spalanca e l’immagine urla: […]
noi siamo l'alfabeto del corpo / che grida / il suo
esserci / noi essenza degli elementi / appendici della
terra […] e della terra quindi il lascito grave e
generoso, il frutto panico che si fa […] strada nel
sangue della parola […].
Procede così, lungo un itinerario aereo, ma anche
corporeo, il vocabolo alla ricerca del suo fuoco
primigenio, ed è sostanza sanguigna che alberga nella
lingua, idioma del riconoscimento febbrile. Serino
traduce questa febbre nel Volo asimmetrico, che è il
terzo elemento e abbraccia in un certo senso gli altri,
avvolgendoli in un magico defluire, in un tripudio di
trasfigurazioni che è cifra esatta del suo sentire (o del
suo andare per fotogrammi), pellicola del suo occhio
interiore che cattura, imprigiona, e dopo libera.
Come un diagramma d’Amore la poesia è fragile
foglia / appoggiata a una spalliera di brezza. E il poeta
anela a un avvicinamento che è infine identificazione,
sostegno, fuga, segreto frammento di sé nel mondo,
rammento di un’origine che si ripete ancora e ancora,
definitiva, eppure incompiuta.
Giovanni Perri
Felice Serino: Asimmetrici voli. Prefazione Donatella
Pezzino. E-book (2017)
Finito di realizzare nel Dicembre 2018 da www.
poesieinversi.it
*Felice Serino è nato a Pozzuoli nel 1941.
Autodidatta. Vive a Torino.
Copiosa la sua produzione letteraria (raccolte di
poesia: da “Il dio-boomerang” del 1978 a “Lo sguardo
velato” del 2018); ha ottenuto importanti
riconoscimenti e di lui si sono interessati autorevoli
critici.
È stato tradotto in otto lingue.
Intensa anche la sua attività redazionale.
Gestisce vari blog e siti.
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