RIMGRAZIO CHI MI HA FINORA SEGUITO.
MI TRASFERISCO QUI:
https://assonanze2.wordpress.com/
BUONA ESTATE E BUONA LETTURA!
N.B.: iL BLOG NON VERRA' ELIMINATO. SAREBBE UN PECCATO NON TENERLO COME ARCHIVIO: VEDI LE SETTE RICCHE PAGINE CONSULTABILI.
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(ispirandomi a Borges e Pessoa)
anime che si cercano
vestite di apparenza
siamo: forme passeggere
giriamo in tondo senza
mai trovare il centro
lontani da noi siamo
sulla pagina del cielo una mano
d'aria scrive di noi
e delle nuvole
(2021)
(Diocleziano, uno dei più odiati della storia)
lasciai alla terra il corpo-zavorra
da cui forse con sollievo mi trassi
se sia ala d'angelo a coprirmi
il disonore -si dirà- ora che
s'una misera tomba s'accanisce
dei miei detrattori il ghigno
feroce e lo sputo
(2021)
è detto il mondo dei più
e noi a chiederci dove
sono ma piuttosto che un "dove"
è uno "stato"
simile a quando sognamo
è percepibile a volte la loro
presenza nei semplici gesti
come impugnare la forchetta o la penna
o quando ci adagiamo la notte
nella loro ombra
24.6.23
In una sua poesia Rimbaud assegna un colore diverso a ogni vocale. Secondo il poeta, il senso delle vocali si può riassumere così: A, nero; E, bianco; I, rosso; U, verde; O, azzurro. Egli usa poi questa tabella con paralleli basati sull'esperienza sensoriale. A tale proposito, Ernst Junger nel suo saggio L'elogio delle vocali * fa questa considerazione: "Poiché Rimbaud possiede uno sguardo che sa spingersi anche al di là della pura sfera artistica abbiamo qui un sintomo della profonda diversità fra le lingue. In ogni caso, ci sentiamo piuttosto inclini ad associare la A e la O al rosso e al giallo, colori di luce, mentre la I e la U sono più vicini ai colori della terra". E ancora: "Nella sua Filosofia della composizione Poe definisce la O la più sonora delle vocali. La A è l'aquila, la O è il falco dell'universo sonoro". "Noi usiamo per la O un ideogramma che riproduce la forma dell'occhio". Secondo Junger, infine, la A significa verticalità e ampiezza, la O altezza e profondità, la E il vuoto e il sublime, la I la vita e la putrefazione, la U la generazione e la morte. Nella A invochiamo la potenza, nella O la luce, nella E l'intelletto, nella I la carne e nella U la terra materna, i sepolcri, l'età remota di Saturno.
Concludiamo questo breve excursus con la bella frase di Jacob Grimm, secondo cui "alle vocali nel loro insieme va attribuito un carattere femminile, alle consonanti un carattere maschile".
* Ernst Junger, Foglie e pietre, Adelphi 1997
© Felice Serino
"essere"
più del mondo vissuto
impastati di terra e di Dio -
di Lui il dito
la saliva il fiato
il fiat della luce
rientrare
come scriccioli varcando la "soglia"
baciati dal sole della morte
22.6.23
la realtà non è da sé
è la mente che la crea
asseriscono alcuni illuminati
va da sé
che ti stimolano pensieri
fuori dall'ordinario
mentre un gabbiano ti fa il verso
sorvolando l'immaginario orizzonte
(2021)
dov'è resettata
da ogni ammennicolo la mente
lì è itaca del cuore
vi è assonanza
coi tuoi morti
risaliti dal mare a custodirti
(2021)
impregnati dell'humus dell'estro
del vasto respiro di cielo
svolazzano s'impennano appena
liberati dall'artefice dei versi
-suoi non più suoi-
a volerli divulgare per il mondo
(2021)
Il mondo apparente potremmo paragonarlo a una serie innumerevole di macchie o incrostazioni che, sovrapposte al Disegno originario della Bellezza infinita, rendono quest'ultimo invisibile a occhi di carne.
Tuttavia, il numinoso si lascia a volte "visitare" con lampi fugaci in veste onirica, tramite "presenze" costituite da archetipi.
Il sogno in se stesso possiede un evidente carattere numinoso. Esso è una seconda vita.
Più d'uno ha scritto che il sonno è il fratello minore della morte, e che il sogno sarebbe il cordone ombelicale con l'aldilà.
Il sogno, via regia per l'inconscio e sua autorappresentazione, si esprime col linguaggio dei simboli. Un sogno può essere concepito come un dramma in cui noi recitiamo tutti i ruoli, quello di attore, regista, autore, suggeritore, e anche quello di spettatore.
I sogni sono la voce della nostra natura istintiva e animale; la voce della sostanza cosmica che c'è in noi. Per Roger Callois i sogni hanno lo stesso senso della forma delle nuvole e dei disegni delle ali di farfalla. Filosofi come Platone, Aristotele, Pitagora, espressero la loro credenza nel carattere profetico dei sogni. Famoso fu il sogno del presidente Lincoln il quale "vide" la propria morte; impressionanti furono i sogni profetici di Edgar Cayce, uno tra i maggiori sensitivi del suo tempo.
Secondo gli antichi oniromanti, i sogni veritieri uscivano da una porta d'avorio, quelli falsi da una porta di corno.
Poiché tutto soggiace a errore, sostenne Cartesio, le immagini che vediamo a occhi aperti varranno quanto quelle che scorgiamo in sogno. Dice Guglielmo Marra: "Il sogno è lo specchio dove la veglia si riflette e si incontra con la sua immagine negativa"; e ancora: "Il sogno avrebbe la funzione di valvola, attraverso la quale si scaricano le tensioni accumulate durante la veglia" (Il mistero dei sogni, Meb Editrice).
Il doppio dell'io che vediamo in sogno è come l'immagine di Narciso riflesso nello stagno. Nei sogni sul "doppio", nella letteratura cinese, si avrebbe un io che sogna un altro io che incontra un altro io.
Possiamo dire che il sognare presenta una qualche somiglianza con la creazione artistica; esso "è matrice dell'arte" (Proust).
Dice Schopenhauer che il sogno è una breve pazzia e che la pazzia è un lungo sogno. Abercrombie afferma che vi è una notevole analogia tra i fenomeni mentali nella follia e nel sogno.
Potremmo paradossalmente paragonare questa esistenza materiale a un sogno rispetto alla vita eterna o Realtà del Sé (totalità interiore dell'anima), allo stesso modo in cui il sogno stesso è tale rispetto alla vita mortale (un sogno nel "sogno").
In definitiva, siamo noi il sogno del Sé, o è il Sé il nostro sogno?
© Felice Serino
tra fiammate d'odio disumanante
aggriccia il cuore del mondo
da quando la mano di caino
si levò e fu un rovinio di cieli
continua a splendere il sole
su acroteri del nulla
e l'uomo a vestire simulacri
si grida alla giustizia mentre
il piatto della bilancia pende
per la vergogna dell'homo sapiens
(2021)
A morning in March - c. 1920
si è assuefatti impermeabili
ad ogni evento il più cruento
asettica aria asseconda un vuoto
di umori non fosse per il grido
della pianta alla radice
la sua ferita bianca
(2021)
-davvero c'è un'altra vita? o
è solo nella tua testa- pensa
gli scivola dalle mani il libro
ora lontanissima
gli giunge la voce del mare
plana un gabbiano su
una solitudine d'anime
13.6.23
"credo nella resurrezione della carne"
pensa all'essere impermanente ma
anche che l' "essere" non cade nel nulla
pensi: ed è già essere per sempre
l'essere può frangersi in un gioco di specchi
ma non cadere nel nulla
il nulla non esiste
(2021)
sole ad asciugare le ossa
e i panni in un'ora
il vecchio sofferente aspetta
il sole della morte
giocano bambini alle giostre
sotto l'occhio vigile
non si può morire in giorni come questi:
non ti aspetti
che il criminale si svegli al mattino
e inneschi la bomba nel nome di un dio
(2021)
Moses de Leòn nel Sèpher ha-Zohàr (XIII secolo), definisce Lilith come seduttrice di uomini e strangolatrice di neonati. Lo scrittore riporta una credenza che identifica Lilith con la regina di Saba. Nella tradizione kabbalistica Lilith è rappresentata come una donna nuda il cui corpo termina con una coda di serpente. Presso gli ebrei esiste l'usanza di appendere amuleti sopra il letto delle partorienti. In La kabbalah e il suo simbolismo (1960), Scholem riporta una credenza narrata nel 1717: "Credono [gli ebrei] che quando un uomo perde il seme con l'aiuto di Mahlat e di Lilith, ne nascano spiriti cattivi". In letteratura si ricorda che Victor Hugo dedica a Lilith una lunga poesia, in La leggenda dei secoli (1883). In La figlia di Lilith (1889), A. France la presenta quasi come una femminista. Un'altra poesia dedicata a Lilith la troviamo nell'opera di A. Crowley Lo scarabeo alato (1910). Citiamo ancora Primo Levi col suo Lilith e altri racconti (1981) e Anais Nin con Venus erotica. Infine, uno sguardo al mondo della celluloide: il regista R. Rossen gira nel 1964 il film terrore Lilith, mentre si fa notare in modo particolarmente incisivo nel 1970 il film di K. Anger Lucifer rising.
Si ricorda che Lilith in astrologia è considerata la Luna Nera; dallo studio dei transiti nei vari segni, e Case, si possono verificare gli aspetti più nascosti della sessualità. Nella Luna Nera è racchiusa una sensualità priva però del potere creativo proprio di Plutone. Essa sembra essere un punto focale legato al nostro passato, alla nostra "matrice karmica". Secondo lo studioso Max Duval, essa è "il secondo fuoco dell'orbita lunare". Pare che questo presunto secondo satellite terrestre fosse noto al tempo della civiltà egizia col nome di Nephtys. Si narra che il diluvio di Atlantide sarebbe stato provocato da un satellite di materia oscura avvicinatosi troppo alla Terra; questo corpo diventerà appunto Lilith.La Luna Nera e Lilith hanno gli stessi significati simbolici: esse simbolizzano il potere inconscio femminile in veste moderna, la forza della sua emancipazione; il che ci porta a considerare giustamente i rapporti tra uomo e donna sostanzialmente modificati. (E' chiaro che Lilith spaventi il maschio tradizionale, che subito vede sorgere "complessi" di castrazione). Secondo la tradizione ebraica Lilith sarebbe stata la prima sposa di Adamo, la quale non volle sottomettersi al suo padrone, perché ella esprimeva l'uguaglianza dei sessi. La leggenda c'informa che Lilith, in seguito al rifiuto nei confronti di Adamo, fu allontanata da potenze superiori e sostituita da Eva.
Fonte: notizie liberamente tratte da I mondi ultraterreni, G. Berti, Mondadori 1998, e da Luna Nera-Lilith, F. Capone, Edizioni Capone 1978.
© Felice Serino
Chele d'amore
Sequele di aromi
umori estasiati
tutto mi porta
il vento di vita
un flutto sommerge
miei malati sapori
le chele del tempo
brezze sciupano e faville
al macero di gloria
di boria ostinata
ma non il cuore che ama
singulti di stupiti cantori
si diramano a radure
e l'amore è ormai
mio vizio e mia aria.
(Ezio Falcomer, “La vita picara”, Lanuvio RM, Narrativaepoesia, 2010)
.https://www.accademiadeisensi.it/2012/10/chele-damore-ezio-falcomer-la-vita.html
Prego le muffe
Del mattino io studio la freschezza
e l’illusione, i promontori
di parole vane, la gloria degli uomini.
Della memoria i meccanismi
sociali. Chiuso qui in convento,
prego le muffe e i fantasmi
del cuore, degli ancestrali volumi.
Farnetico di spiriti, di oscuri
sacrifici, di frutta lavata.
Ho un’anima gentile e malata,
ho i piedi nudi. Orecchie da sbarco,
cervello svaccato, sogni. Ogni.
Zucche marce
A volte divento malato
e amo i suoni
della ferraglia arrugginita,
dei cavi del tram che starnazzano,
del fetore delle zucche marce.
Amo il silenzio
della folla distratta dai pensieri,
delle vetrine
imbambolate dall'attesa.
Divento così malato
che mi schizzo via
da ogni orbita
e il mio cervello
è solo pieno di solitudine
e formaggi stagionati.
E non c'è un giorno da passare,
ho solo bisogno
di parole acide e convincenti
e dell'eterno,
come di una coperta slabbrata.
Voglio cadere fuori dal tempo
senza dare nell'occhio,
facendo finta di sputare
contro il muro.
Sei l'albore
Sei l'albore,
Il turgido granturco,
la viscera innamorata
che mi conduce
al di là del male.
In te riposo,
gioia e tristezza,
indomito abisso
io cerco,
fine
del dolore animale.
Come un fiore,
farmaco
al mio essere scisso.
Sulla prora
Amo in questo
essere sulla prora,
in questo
sottrarmi al dolore,
aggiungere amore
alle radici dei fiori.
Alzo lo sguardo sul mare.
Linguaggio crittato
d’onde e spume,
illusorio sprofondare,
dimenticando la storia.
Senza più rancore,
né pirati,
né granchi dalle chele avvelenate.
L’oblio è lettura,
la lettura è preghiera.
Dimenticare sofferenza e fatica.
Nero silenzio abbacinante.
Macerie
E verrà il giorno in cui mi arrenderò,
camminando fra le macerie,
il cappotto rubato a un cadavere,
l'orecchio a un antica musica,
deposta la fatica detta vita.
Mi arrenderò e sarà un sollievo.
Avrò fra i denti
un sangue d'ironia,
il teatro emaciato,
silenzioso senza più bestemmie
e sudore di apprensivi guitti.
Ora di punta
È un'ora di punta come un'altra,
questa, delle dieci del mattino.
Mi dico: "Ho sbagliato tutto nella vita?
Forse dovevo arrendermi prima".
Ma i cieli sono in fiore
e le fogne emettono umiltà.
Dovevo fare tante cose
prima di arrivare a questo punto.
È accaduto tutto tanto in fretta.
Le stelle sono collassate
prima che io avessi il tempo di dire "beh".
Non ero preparato a nulla.
La vita mi è venuta addosso
come un treno.
https://www.alidicarta.it/autore/ezio-falcomer/testi#sc
Mi accadi
Mi accadi di meandri di baci
esulto in braci di averti
taci
svelami il dono di concerti sontuosi
di carne e d'afrori
assaggiarti d'amore
ah i tuoi sguardi
coloniali romanzi scabrosi.
(dalla raccolta "La vita picara", Lanuvio (RM), Narrativaepoesia, 2010, p. 105)
https://www.rossovenexiano.com/blog/ezio-falcomer/mi-accadi
Ezio Falcomer è nato a Concordia Sagittaria (VE) nel 1962 e vive a Torino. Lavora come insegnante bibliotecario e archivista nella Scuola Superiore. Ha un’esperienza di attore di prosa in teatro e in Rai, negli anni Ottanta. Dottore di Ricerca in Italianistica (1997), ha pubblicato Carlo Vidua. Un giovane letterato subalpino in età napoleonica (Alessandria, Dall’Orso, 1991) e altri lavori di critica letteraria su Camillo Sbarbaro, Eugenio Montale, Giacomo Leopardi, Carlo Goldoni, Voltaire, Piero Gobetti, Ippolito Pindemonte. Nell’aprile del 2010, Nerosubianco ha pubblicato il suo Vorrei vincere il nobel per la Fisica come Frank Einstein. Post comici, demenziali, ludicomaniacali. Nello stesso anno è uscita la raccolta poetica La vita picara (NarrativaePoesia, Lanuvio, RM) e nel 2012 Rottami d'oro (Ilmiolibro.it).
https://www.puntoacapo-editrice.com/product-page/luna-comica-ezio-falcomer
ledi armonia se nel
voltarti
chiedi vaticini agli
iperurani
mentori della volta
celeste dal volto
rasserenante
(2021)
era solo ieri guarda ti dicevo
in questa foto di famiglia
sono quello che fa solecchi
e mia madre mi sorride
oggi il lago è uno specchio lucente
ove annegare le ambasce
tu
nello scatto sorridi alle rughe
mentre faccio solecchi
6.6.23
Per l'amore che ho donato, mi donasti il mio destino
per le bacche che ho colto, una spina
per l'orgoglio che le mura impongono, un disgelo di beltade
un'ora di armistizio, di prelibata salvezza
per tutto quello che non sapevo e che non so
mi ci sono costruita piccole croci da abbattere
per quello che mi hanno fatto credere, io non sono più
se non acqua implacabile e sogni, piccoli cordogli
imbastiti a mano, sfibrati appena, a rimembrare la carne.
Ma io non sono, se non l'essere giunto alla deriva del Creato
partorito due volte, dalla madre e da sé stesso, e il terzo è
spirito santo che chiamano figlio, a lui spetterà il passaggio
di questo niente che s'affaccia dal davanzale, Egli, saprà.
Per amore che ho donato, per le bacche che ho colto,
per l'orgoglio che le mura impongono, un disgelo di beltade.
*
Come una rovina m'hai colta
con le parole che sedimentano nell'aria
dalla bocca, volando tra i rami, fosti
mangime per uccelli, conferendo il ristoro alle ali
solo con la tua bocca che si solidifica
pronunciando l'era infinita di ogni solitudine
massificata per sbaglio dal dolore. Come
dirti ch'è amore se preme schiacciando
il costato, se ingabbia ciò ch'è nato per volare.
Ma tu, no, tu parlami ancora dell'acqua, che al seguito tuo
la mia gabbia arrugginisce e nessuna chiava l'aprirà
più, nessuno, se non la pressione lacerante, del suono
che imponi.
*
Ero stata aperta al tremore delle ombre, le avevo
imbevute assieme al muro del pianto, forzando le
nari al respiro, m'ero tesa disperata e disponibile
alle tue mani, alla violenza del sesso, all'estremo
Iddio, alla sfrontata mia volontà d'averti, ho giocato
tutto, intera e spersa, sul letto, svuotata nelle membra
nascituro dei miei sogni, iperbole del creato, per
averti la mia ferita, il sangue ho stilato, sacrificio
santo per la tua bocca, indomita e indomabile,
arresa sul fianco destro, sul guanciale di pizzo
tra il profumo del tuo pozzo, ed io, pazza.
*
è uguale a me la mia metà, uguale, a risanarne i confini
simile ad un clavicembalo, la mia metà che conta tre
quella dissodata dalla vita che tuba con la chiave dei sogni
quella che si regge a stento sui fianchi, smodata, con le traveggole
la mia metà che si mette a tacere assieme ad una rondine
che salta da ramo a ramo e scimmiotta dio, che s'infoia
nel sentire assieme l'incanto e lascia cadere le rose dal grembo
la mia metà che piange e ride, e l'altra che tace.
*
Domani passerò sotto un arco di luppoli, andrò scalza, dissennata come al solito
raccolta nelle mie stravaganze e dissensi, bacerò il greve passo della terra,
l'interiora et parsimonia sua aspra astuta veritate. Il mio tunnel di ritorno che
domani sarà ancora domani e ci ripasserà la storia e gli avi, in processione
di lucciole, sotto il mio arco di luppolo fiore, ci passeranno in tre
patris et fili et spiritus sancti, a forgiarci bene nei corpi, saldi e stretti
in reliquia e riposo. Amen.
.
* Alessia D’Errigo (via e-mail)
di fonemi
indiarsi
d'empiti
a capriolare nell'aria
presenze
ancora in fieri in ondivago
sogno
(2021)
in ogni respiro sommerso un mondo
monologa tra le celle porpora una lingua
che scrive e un'arca azzurra impronta
tra lo squero dei polmoni e gli attracchi degli alveoli
ere di fotoni quanti di cosmologiche invasioni
residenze di polveri e spore
batterie di originali frequenze musiche
sonorità dei diari dove l'universo si compone
abitandoci
in continue manutenzioni di variabili
in scritture e palinsesti di morfologie invisibili
franando e ribaltando i suoi crinali
in inedite scritture
valichi innumerevoli di incessanti meraviglie
f.f.-SCRIVERE IL GRANDE VETRO
.
una notte di opale
liscia la parete del cielo un azzurro senza gradini
o balconate di nuvole
l’infinito una lisca grigio azzurra di confine
dove tutto precipita in mare o
in un enorme campo di schiume
e attraverso il profilo del vento scivola
su un immenso
vetro sporco di addii e assenze
non canti non segnature
nulla è tangibile e si è
immersi
una pozza intraducibile
irreversibile un brodo quantico
in cui tutto fluttua espandendosi e contraendosi
tra vita e morte come dentro una placenta inquieta
si propaga e poi si rompe come un lungo budello
da cui entrano le stelle e suoni che sono solo vibrazioni
evasioni di diapason balistici che tratteggiano il cammino
di arcipelaghi di galassie quasar onde di materia e non
materiali d'eco scandagli luminosi tra frasi di buio e monolitiche
evasioni di spore a cavallo di meteo-riti
smaltati di vuoto adamantino nuovo zecchino l'indicibile
racconto di un neutrino in cerca di una culla
tra incredibili elogi di particelle e atomiche di energia
gravi danze nel grembo dell'origine al centro del pozzo
un cristallino limpido
tuo occhio o
un cratere della luna in un mare di immenso
dove nel vacuo una notte si tuffa nell'opale delle lacrime
come da un balcone sul mare
come nel più fecondo oceano di fiabe
in un teatro di voci
nelle trasparenze delle ere.
f.f.- SCRIVERE IL GRANDE VETRO
.
Dire dire
dire bisogna sempre dire
dire tutto scoprire scoperchiare
anche l’infamia e forse più spesso la fame
che ci assale e ci divora che ci inchioda
alla paura di dire dove sta
la bestia che rimpolpa
lo sterco delle nostre ossessioni
la paura del diverso il terrore malcelato dell’estraneo
la stoltizia che raccatta la sua stessa misurata menzogna
l’isola il cerchio l’isolata furia
il volto della pietra ingoiato da medusa
e il torto e itaca e i viaggi
avanti e indietro dentro gli inferni coltivati
notte e giorno a ridosso della parola che ci crepa
la bocca e il cuore straripati in densità d’ansia
senza argini l’empietà si commisura all’assenza l’avarizia
che non vuole
condivisioni con nessuno.
Dire dire dire
come a voler testare la capacità di fare resistenza a noi stessi
a quella immune fragilità che non smette di doppiarsi
moltiplicarsi ferirsi e chiudersi
diramando l’ultimo proclama di silenzio
sancito dalla parola
la parola mai pronunciata
l’ultima esclusa.
f.f.- da L’isola e il cerchio- Terra d'ulivi Edizioni 2022
.
Fernanda Ferraresso è nata a Padova nel 1954, dove vive e insegna in un Liceo Artistico. E’ curatrice responsabile del sito web Cartesensibili. In poesia ha pubblicato le raccolte: “Migratorie non sono le vie degli uccelli” e “Ombre come cosa salda”, (ll Ponte del Sale).
neanche il tempo di pensarlo
e ti ritrovi
immerso in fondo all'oceano
lotte sanguinose avvengono
tra pesci di grandi dimensioni
quelli minuti sembrano sorriderti
la triglia ti fa l'occhiolino
la supremazia è la regola
negli abissi dell'oceano
come avviene in superficie
con gli umani
tra pesci piccoli e grandi
(2021)
livido cielo è l'ora
del crepuscolo il vecchio
spalle curve bavero alzato
col suo dolore imbavagliato
lascia la panchina - se lo farà
un bilancio
tornando verso casa?
sguardo svuotato
ha lasciato pezzi di cielo: solo
con l'affetto dei gatti (ci divide
la cena)
le frequenti
notti bianche
conta le ombre sul soffitto
che assumono sembianze strane
(2021)
Amo ciò che non si vede. Soltanto nell'Idea, risiede il Reale; il tangibile e ciò che si percepisce coi sensi, è apparire, riflesso, velo esterno di una realtà invisibile. Sussulti di gioia mi dà il contemplare qualcosa di bello, di artistico, che aspira alla perfezione - si tratti di opera di Dio o dell'uomo -; mi emoziona non la cosa in sé (corruttibile), ma ciò che sta dietro, che vive dietro la cosa. Il cuore della "cosa". Dove l'anima trova in se stessa la propria luce.
Amo l'invisibile, l'Entità da venerare nella cattedrale del sangue.
Il visibile, il contingente, non è che manifestazione, rappresentazione. Riflesso. (L'emanato = il relativo, lo speculare). La vera essenza è nel non-manifesto. Nell'Idea, nell'Indicibile.
Afferma Ida Magli (La Madonna, Rizzoli '87): "Il nome è l'essenza. Le cose che esistono sulla terra sono copie dell'Idea che esiste in cielo".
Sono cosciente che esiste un universo sottile, non manifesto, appunto, pur vivendo calato in un mondo più denso, dotato di una struttura concreta e di aspetti materiali. Pur sentendomi parte di questa realtà superiore, che mi unifica col Tutto, nella mia dimensione attuale non posso percepirla se non confusamente, come se leggessi una "visione" di Swedenborg. Di questa "realtà" posso possedere soltanto le apparenze, mai la sostanza.
Sentiamo, in proposito come si esprime Elémire Zolla nel suo volume Uscite dal mondo (Adelphi, '92), citando il pensatore Arturo Reghini: "Reghini delinea l'esperienza centrale, l'estasi filosofica,cui più volte si dedicò, in alcuni articoli, specie uno a firma di Pietro Negri, sulla rivista "Ur" nel 1928: rievoca l'esperienza dell'immaterialità per cui ci si accorge che non si corporei,o meglio che il corpo è in noi, con tutte le altre cose, e tutto fa capo a un nostro centro profondo, abissale e oscuro [...]. In questo stato la coscienza appare come una variabile e il corpo come una funzione. Si coglie spingendosi come in alto mare, anagogizzando, giungendola punto che in sanscrito ridirebbe di sandhya, contatto o interfaccia tra sonno profondo e morte: si diventa come pianta o pietra; come angeli si vede l'essenza del reale".
© Felice Serino
marzo le strade ammantate
di coriandoli -magia per i bimbi
si è un po' bambini anche noi
sbizzarrirsi in maschere da folletto
il gattino col fiocchetto
la ottantenne con un palmo di belletto
l'apparenza è sovrana
il gusto è g(i)usto
truccarsi in bruttezza è bello
(2021)
Propongo alcune poesie da un opuscolo edito in proprio, per gli amici: "Altri ritorni", maggio 1994, poesie rielaborate da una precedente raccolta "Ritorni". 40 poesie tutte bellissime, ma ho dovuto fare necessariamente una scelta. Buona lettura.
Nota biografica
Giordano Genghini è nato a Monza (Mi) nel 1948, dove tuttora risiede. Laureato in Lettere ha insegnato presso un istituto tecnico; collabora, inoltre, a pubblicazioni periodiche. Ha scritto su riviste letterarie tra cui "Il bagordo" (di cui è anche co-fondatore), "Controcampo", "Alla bottega", "Il dispari", "L'erba" e molte altre.
Ha ottenuto molti riconoscimenti tra cui primi premi.
E' stato ideatore e membro della giuria (presieduta da Geno Pampaloni) della "Rassegna scrittura giovani degli anni ottanta".
Il suo "Diario xerografico" è stato premiato con medaglia d'oro nel 1986 dall'Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano (Arezzo).
Barberi Squarotti ha scritto di lui: "(...) Mi piace, nella Sua poesia, la grandiosità dell'invenzine visionaria, che compone splendidi sonetti di descrizione e narrazine strettamente congiunte (...)".
Negli anni novanta si è dedicato allo sviluppo di un Circuito letterario internazionale denominato "xeropoesia" (rete di scambi postali in copia fotostatica di testi letterari propri e altrui). Si tratta di quella che viene definita "arte povera", ed è parzialmente ispirata dalle esperienze della Xerox Art e dalla Mail Art.
N.d.r.: A partire dagli anni più recenti ha creato moltissimi gruppi di poesia su Facebook.
la senti fuori e dentro che
ti attraversa - non ha
spaziotempo ubiqua ai primordi:
come nella prima
luce un soffio un respiro
nave astrale
è l'anima che vola
30.5.23