Dipinto di Kateryna Kovarzh
in ogni respiro sommerso un mondo
monologa tra le celle porpora una lingua
che scrive e un'arca azzurra impronta
tra lo squero dei polmoni e gli attracchi degli alveoli
ere di fotoni quanti di cosmologiche invasioni
residenze di polveri e spore
batterie di originali frequenze musiche
sonorità dei diari dove l'universo si compone
abitandoci
in continue manutenzioni di variabili
in scritture e palinsesti di morfologie invisibili
franando e ribaltando i suoi crinali
in inedite scritture
valichi innumerevoli di incessanti meraviglie
f.f.-SCRIVERE IL GRANDE VETRO
.
una notte di opale
liscia la parete del cielo un azzurro senza gradini
o balconate di nuvole
l’infinito una lisca grigio azzurra di confine
dove tutto precipita in mare o
in un enorme campo di schiume
e attraverso il profilo del vento scivola
su un immenso
vetro sporco di addii e assenze
non canti non segnature
nulla è tangibile e si è
immersi
una pozza intraducibile
irreversibile un brodo quantico
in cui tutto fluttua espandendosi e contraendosi
tra vita e morte come dentro una placenta inquieta
si propaga e poi si rompe come un lungo budello
da cui entrano le stelle e suoni che sono solo vibrazioni
evasioni di diapason balistici che tratteggiano il cammino
di arcipelaghi di galassie quasar onde di materia e non
materiali d'eco scandagli luminosi tra frasi di buio e monolitiche
evasioni di spore a cavallo di meteo-riti
smaltati di vuoto adamantino nuovo zecchino l'indicibile
racconto di un neutrino in cerca di una culla
tra incredibili elogi di particelle e atomiche di energia
gravi danze nel grembo dell'origine al centro del pozzo
un cristallino limpido
tuo occhio o
un cratere della luna in un mare di immenso
dove nel vacuo una notte si tuffa nell'opale delle lacrime
come da un balcone sul mare
come nel più fecondo oceano di fiabe
in un teatro di voci
nelle trasparenze delle ere.
f.f.- SCRIVERE IL GRANDE VETRO
.
Dire dire
dire bisogna sempre dire
dire tutto scoprire scoperchiare
anche l’infamia e forse più spesso la fame
che ci assale e ci divora che ci inchioda
alla paura di dire dove sta
la bestia che rimpolpa
lo sterco delle nostre ossessioni
la paura del diverso il terrore malcelato dell’estraneo
la stoltizia che raccatta la sua stessa misurata menzogna
l’isola il cerchio l’isolata furia
il volto della pietra ingoiato da medusa
e il torto e itaca e i viaggi
avanti e indietro dentro gli inferni coltivati
notte e giorno a ridosso della parola che ci crepa
la bocca e il cuore straripati in densità d’ansia
senza argini l’empietà si commisura all’assenza l’avarizia
che non vuole
condivisioni con nessuno.
Dire dire dire
come a voler testare la capacità di fare resistenza a noi stessi
a quella immune fragilità che non smette di doppiarsi
moltiplicarsi ferirsi e chiudersi
diramando l’ultimo proclama di silenzio
sancito dalla parola
la parola mai pronunciata
l’ultima esclusa.
f.f.- da L’isola e il cerchio- Terra d'ulivi Edizioni 2022
.
Fernanda Ferraresso è nata a Padova nel 1954, dove vive e insegna in un Liceo Artistico. E’ curatrice responsabile del sito web Cartesensibili. In poesia ha pubblicato le raccolte: “Migratorie non sono le vie degli uccelli” e “Ombre come cosa salda”, (ll Ponte del Sale).
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