Per l'amore che ho donato, mi donasti il mio destino
per le bacche che ho colto, una spina
per l'orgoglio che le mura impongono, un disgelo di beltade
un'ora di armistizio, di prelibata salvezza
per tutto quello che non sapevo e che non so
mi ci sono costruita piccole croci da abbattere
per quello che mi hanno fatto credere, io non sono più
se non acqua implacabile e sogni, piccoli cordogli
imbastiti a mano, sfibrati appena, a rimembrare la carne.
Ma io non sono, se non l'essere giunto alla deriva del Creato
partorito due volte, dalla madre e da sé stesso, e il terzo è
spirito santo che chiamano figlio, a lui spetterà il passaggio
di questo niente che s'affaccia dal davanzale, Egli, saprà.
Per amore che ho donato, per le bacche che ho colto,
per l'orgoglio che le mura impongono, un disgelo di beltade.
*
Come una rovina m'hai colta
con le parole che sedimentano nell'aria
dalla bocca, volando tra i rami, fosti
mangime per uccelli, conferendo il ristoro alle ali
solo con la tua bocca che si solidifica
pronunciando l'era infinita di ogni solitudine
massificata per sbaglio dal dolore. Come
dirti ch'è amore se preme schiacciando
il costato, se ingabbia ciò ch'è nato per volare.
Ma tu, no, tu parlami ancora dell'acqua, che al seguito tuo
la mia gabbia arrugginisce e nessuna chiava l'aprirà
più, nessuno, se non la pressione lacerante, del suono
che imponi.
*
Ero stata aperta al tremore delle ombre, le avevo
imbevute assieme al muro del pianto, forzando le
nari al respiro, m'ero tesa disperata e disponibile
alle tue mani, alla violenza del sesso, all'estremo
Iddio, alla sfrontata mia volontà d'averti, ho giocato
tutto, intera e spersa, sul letto, svuotata nelle membra
nascituro dei miei sogni, iperbole del creato, per
averti la mia ferita, il sangue ho stilato, sacrificio
santo per la tua bocca, indomita e indomabile,
arresa sul fianco destro, sul guanciale di pizzo
tra il profumo del tuo pozzo, ed io, pazza.
*
è uguale a me la mia metà, uguale, a risanarne i confini
simile ad un clavicembalo, la mia metà che conta tre
quella dissodata dalla vita che tuba con la chiave dei sogni
quella che si regge a stento sui fianchi, smodata, con le traveggole
la mia metà che si mette a tacere assieme ad una rondine
che salta da ramo a ramo e scimmiotta dio, che s'infoia
nel sentire assieme l'incanto e lascia cadere le rose dal grembo
la mia metà che piange e ride, e l'altra che tace.
*
Domani passerò sotto un arco di luppoli, andrò scalza, dissennata come al solito
raccolta nelle mie stravaganze e dissensi, bacerò il greve passo della terra,
l'interiora et parsimonia sua aspra astuta veritate. Il mio tunnel di ritorno che
domani sarà ancora domani e ci ripasserà la storia e gli avi, in processione
di lucciole, sotto il mio arco di luppolo fiore, ci passeranno in tre
patris et fili et spiritus sancti, a forgiarci bene nei corpi, saldi e stretti
in reliquia e riposo. Amen.
.
* Alessia D’Errigo (via e-mail)
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