sabato 3 giugno 2023

SULL'ESSENZA DEL REALE


Amo ciò che non si vede. Soltanto nell'Idea, risiede il Reale; il tangibile e ciò che si percepisce coi sensi, è apparire, riflesso, velo esterno di una realtà invisibile. Sussulti di gioia mi dà il contemplare qualcosa di bello, di artistico, che aspira alla perfezione - si tratti di opera di Dio o dell'uomo -; mi emoziona non la cosa in sé (corruttibile), ma ciò che sta dietro, che vive dietro la cosa. Il cuore della "cosa". Dove l'anima trova in se stessa la propria luce.

Amo l'invisibile, l'Entità da venerare nella cattedrale del sangue.

Il visibile, il contingente, non è che manifestazione, rappresentazione. Riflesso. (L'emanato = il relativo, lo speculare). La vera essenza è nel non-manifesto. Nell'Idea, nell'Indicibile.

Afferma Ida Magli (La Madonna, Rizzoli '87): "Il nome è l'essenza. Le cose che esistono sulla terra sono copie dell'Idea che esiste in cielo".

Sono cosciente che esiste un universo sottile, non manifesto, appunto, pur vivendo calato in un mondo più denso, dotato di una struttura concreta e di aspetti materiali. Pur sentendomi parte di questa realtà superiore, che mi unifica col Tutto, nella mia dimensione attuale non posso percepirla se non confusamente, come se leggessi una "visione" di Swedenborg. Di questa "realtà" posso possedere soltanto le apparenze, mai la sostanza.

Sentiamo, in proposito come si esprime Elémire Zolla nel suo volume Uscite dal mondo (Adelphi, '92), citando il pensatore Arturo Reghini: "Reghini delinea l'esperienza centrale, l'estasi filosofica,cui più volte si dedicò, in alcuni articoli, specie uno a firma di Pietro Negri, sulla rivista "Ur" nel 1928: rievoca l'esperienza dell'immaterialità per cui ci si accorge che non si corporei,o meglio che il corpo è in noi, con tutte le altre cose, e tutto fa capo a un nostro centro profondo, abissale e oscuro [...]. In questo stato la coscienza appare come una variabile e il corpo come una funzione. Si coglie spingendosi come in alto mare, anagogizzando, giungendola punto che in sanscrito ridirebbe di sandhya, contatto o interfaccia tra sonno profondo e morte: si diventa come pianta o pietra; come angeli si vede l'essenza del reale".


© Felice Serino


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