un’alba cadmio
apre spazi
inusitati nel cuore
usciti dal sogno
beccano sillabe
gli uccelli di Maeterlinck
in un cielo di vetro
da un luogo non- luogo
le uve dei tuoi occhi
chiamano il mio nome
genuflesso nella luce
un’alba cadmio
apre spazi
inusitati nel cuore
usciti dal sogno
beccano sillabe
gli uccelli di Maeterlinck
in un cielo di vetro
da un luogo non- luogo
le uve dei tuoi occhi
chiamano il mio nome
genuflesso nella luce
Questa silloge di Felice Serino si apre con la grande speranza rivolta all’Impossibile, a ciò che sta nel cuore di ogni poeta o artista in genere e che si può solo immaginare e tradurre in parole, in opere, nella piena coscienza, alla fine di ogni creazione, di avere prodotto qualcosa d’incompiuto, infinitamente distante da quell’orizzonte dal quale scaturiscono le idee e che non si concede allo sguardo orfico, sognatore e innamorato del volto inguardabile: non per espresso divieto ma perché ineffabile e perdutamente consegnato alla notte, in un altrove che il nostro poeta s’illude di cogliere e dove spera di “abitare” attraverso la parola, quella poetica, sottratta alla quotidianità, all’“ordito della vita” e “fuori dal coro”, non soggetta al sistema arbitrario e convenzionale dei segni linguistici. In virtù di questa parola egli ha la vaga sensazione di ri-trovarsi in qualcosa di perduto e che sente “palpitare” dentro di sé, nell’intimità, dove gli è data la possibilità d’intuirsi, di guardarsi dentro e venire fuori, aprendosi a sé stesso e in questa apertura sentirsi prossimo a una verità che gli riveli la sua appartenenza a un altrove, a un mondo distante e diverso da questo in cui siamo gettati e che, al di là dell’«esser-ci» heideggeriano, gli dia la coscienza della vita autentica indipendentemente dall’«essere-per-la-morte». Perché è nell’intimità, dove accade il miracolo della creazione, che sorge la possibilità di agire attivamente contro l’irrazionalità e il vuoto, contro l’insensatezza e la nullità dell’esistenza, di distaccarsi dalle cose materiali e lottare per costruire un mondo migliore sulla Bellezza, su quel qualcosa di sublime che si manifesta restando nascosto e che ha il nome di Poesia. Di fronte al Meraviglioso, che si annuncia nella parola creatrice come orizzonte perduto, “tutto è ancora possibile” per Felice Serino, perché questa parola, a differenza di quella che si spezza contro la quotidianità e la realtà contingente, ha il potere di legare il suo mondo interiore all’oltre, sì che egli si sente rovesciato “come un guanto”; perché essa allontana e disperde ciò che, divenendo, è destinato a perire e mostra la vera natura delle cose, la loro essenza immutabile ed eterna.
“ti senti altrove e il più / delle volte fuori dal coro / ti chiedi se - nell’ordito della vita dove / si spezza la parola - ti sei perso / qualcosa - vorresti allora / rovesciarti come un guanto / riconoscerti come il / fuori del tuo dentro / aprirti a un’alba che / diradi questa / corolla di tenebre/ e sai che tutto / è ancora possibile”
Essere nel mondo, allora, significa per Serino opporre alle difficoltà contingenti della vita, all’angoscia esistenziale per la crisi profonda della società mondiale che sembra segnare il tramonto dell’umanità, il sentimento per ciò che è duraturo e, in quanto tale, portatore di una verità eterna in grado di aprire in interiore e in virtù della poesia quegli «orizzonti di palpiti» che sono espressione del suo stato d’animo particolare nell’atto della creazione, in cui lo sguardo e il cuore si cor-rispondono e si coniugano nella visione sinestetica, che è insieme immaginazione e sentimento, da cui sorge la parola poetica come l’alba, la quale è il pallido riflesso della sorgente, la possibilità e l’illusione di cogliere l’Impossibile negli “orizzonti” che essa apre al nostro poeta, suo sognatore fedele e innamorato. E quest’amore per la Poesia, per la Bellezza, che è ricerca della Verità trascendente e che si traduce nella scrittura, nel bisogno di dare forma a ciò che gli “palpita” dentro, è per Serino, ancora, un modo necessario di essere nel mondo, di dare significato al relativo/immanente, di valorizzare la dimensione umana rapportandola a quell’orizzonte assoluto di senso che è l’Essere divino.
“Tutto è possibile” nel sogno creativo e tutto è illusione, “stato d’incantesimo” e “delirio / che sanguina luce”, “breve estasi-amara / al risveglio”, quando le parole, “sillabe cadute dagli occhi”, lasciano il buio nell’anima e nuda la vista, ingannata dalle belle figure di suono e di significato: gli «allucinogeni» che catturano gli occhi, il cuore e la mente, protèsi e uniti nel vagheggiamento di un “cielo inventato”. La caduta dal sogno nella realtà non scoraggia il nostro poeta, non blocca i suoi tentativi di oltrepassare la “siepe”. In sostanza, la possibilità di giungere “nell’Oltre” non viene mai meno perché essa è il connubio di fedeltà e amore; è l’espressione del legame tra l’immanente e il trascendente, tra l’umano e il divino, tra l’interiorità e l’alterità, tra il «sé» e l’altro da «sé», tra l’«esser-ci» e l’oltreità, tra gli “orizzonti di palpiti” e l’impalpabile «oltre», il quale è principio e fondamento della nostra vita che un giorno ci farà “colmi / di lucente meraviglia noi resi/ impalpabili / essenze e vieppiù reali / tanto che ci parrà un sogno / l’aver attraversato / nella carne la morte”, e tuttavia “nel circolo del sangue / noi in bilico / un piede nel mistero”.
«Si può» in virtù della poesia “trasumanar per verba”. Perché essa ci fa beati essendo grazia divina, per cui basta l’“erba miracolosa” della sua parola a proiettarci oltre la condizione umana e dare significato alla nostra esistenza. Perché essenziale è questa parola “nutrita del sangue degli dei” e perciò vitale, sempre pronta ad aprire gli “orizzonti palpitanti” contro i “chiusi orizzonti” del “progresso / dio-boomerang”, nonché in grado di contrastare, di contenere tutto ciò che deturpa la bellezza, di farci ritrovare “nel bailamme di giorni a perdere”, dove vacilla la certezza di esistere, di essere reali, e col dubbio sorge la domanda se siamo “quasi finzione o sogno”, consegnati e dis-persi nel “virtuale”.
“Tutto è possibile”, “tutto / può ancora accadere”, perfino di scoprire, al di là delle evidenze, delle assodate certezze, “quell’essere consanguineo / con lo spirito delle cose” e comprendere che apparteniamo alla totalità che non lascia nulla fuori di sé, che siamo tutt’uno in virtù dello Spirito unificatore. Allora “l’impossibile si fa / possibile” se non restiamo inerti e confidiamo nell’energia della parola poetica; possiamo tornare a stupirci di fronte a “ciò che sembra / umanamente assurdo”, perché anche le cose hanno la loro epifania e rivelano la loro vera natura al poeta nel suo stato di grazia. “Tutto è possibile”; solo resta il mistero dell’oltre, della verità ultima, irraggiungibile, preclusa allo sguardo e perfino al linguaggio poetico, perché la Poesia stessa è mistero e Parola ineffabile. La conoscenza dell’origine non è di questa vita; solo nel mondo celeste la verità impenetrabile ci sarà rivelata; l’oscurità sarà dissolta e saremo assorbiti “nel mistero lucente” del Tutto, avvolti nella “bolla / di un tempo non-tempo / come nella prima luce” e, dunque, non vedremo più “per speculum / in aenigmate”. Qui, nel riprendere le parole di S. Paolo1, la fede di Serino e la sua visione religiosa sono ampiamente dichiarate. Religiosità e misticismo sono tutt’uno col suo pensiero poetante, volto alla visio beatifica di Dio, del quale la poesia rivela la presenza nella profondità del mistero. E Dio si fa “presente” nelle parole che il Poeta Gli fa pronunciare e che testimoniano ancora la sua fede, la certezza di riuscire a sopportare, a dimenticare i mali terreni, nonché la speranza nella salvezza dell’uomo, al quale il Signore non farà mancare la sua misericordia e carità.
“(…) e come può non accoglierti la luce / se tu da questa hai origine? (…) dimentica / i bianchi deliri della solitudine / i voltafaccia dei giorni perduti / dimentica / come io ho dimenticato / sulla croce” (“Dimentica”)
“(…) Dio non è stanco / mai dell’uomo” (“La rosa di sangue”)
Le virtù teologali, che troviamo qui implicitamente espresse, assicurano al Nostro di essere accolto nella luce, la quale è la loro emanazione e il frutto della contemplazione mistico-religiosa e poetica al tempo stesso. Perché la Poesia è per Serino conoscenza ‘visionaria’ superiore a quella empirica. Gli “orizzonti di palpiti” sono mondi spirituali, stati di coscienza, “squarci / di vite trasversali / realtà sfumanti / nel mistero” che si aprono a una più completa conoscenza in virtù del legame tra l’interiorità e la suprema realtà spirituale. Attraverso la poesia il Poeta partecipa della divina visione, distoglie il pensiero dalla morte e lo rivolge dove “c’è del buono che ci salva”, dove è ancora possibile incontrare un sorriso e godere della natura. Ma è nella Verità oltre la morte la vita autentica; nella sparizione, che è il ritorno nella luce, dove siamo già stati, si compie il destino dell’uomo, si dissolve il mistero, e allora «vedremo faccia a faccia», sapremo chi siamo stati, chi veramente siamo. Di ciò è convinto il Nostro, perché la fede, sostenuta, suffragata dalla poesia e dall’amore, quello che “si scrive col cuore”, vince su ogni dubbio. Ed è in forza di questa certezza che egli può asserire ancora con S. Paolo2: “sapremo non per speculum / in aenigmate (…) allora / conoscerò / come sono conosciuto”. Solo allora la domanda sull’«essere» sarà soddisfatta. Oltre lo specchio del sogno la Verità mostrerà il suo volto, e il Nostro, come Raffaello rapito “davanti agli ultimi ritocchi” della “Mater dolorosa et Admirabilis”, contemplerà la sua Vergine: la Poesia che qui, in questo mondo, gli è concesso solo di sognare.
Guglielmo Peralta
le cose
mi chiamano e la morte
è lontana
vastità contemplo
l’anima
è il verso del gabbiano
nel lambire l’ onda
scrivere con la luce
la vita la morte
vestire di primavera i gigli
non così l’uomo
dal suo primo apparire
preso nel vortice
delle cose
egli scrive su sabbia l’avere
-nel cuore la paura
del bambino
Cano Cristale - Columbia
ed è pleonastico il tuo dire
i tempi son cambiati e
alle piante seccano
i timidi germogli
i pesci son gonfi di plastica e
i cieli di cenere
e i mari piangono coi miei occhi
lasciare parlino i fatti
se voce avranno
in una -lesta?- inversione di tendenza
era solo un sogno - sarai
come la moglie di Lot mi disse
se indietro ti volti
accondiscesi sebbene
controvoglia: ribellione mi
corse nel sangue
altri vedevo passare
per la via della prova
ora tramutati in statue - che prima
di me ridevano
scrivo sull’arcobaleno
dove il mio angelo è assiso
in veste di musa
egli mi suggerisce parole
macerate nel sangue
che mi si nascondono
alla "vista"
a volte dall’arco-
baleno cade una sillaba
ed io la recupero
riprende vigore
all’angelo traspare un sorriso
che si fonde col mio fiato
Col tratto suo solito, con la materia nuda dei versi alti e alati, Serino ci incanta di nuovo. E lo fa con un volume, il suo ultimo, corposo, "Vita trasversale", che è un ben calibrato campionario di temi e motivi caratterizzanti la sua intera produzione poetica; ricca e profonda, tenuta in un suo prezioso tenore lessicale di figure svelate in altezza o come prelevate da un occhio ulteriore e quasi sempre girata nell'inconoscibile. Poesia che ci trattiene in un sollievo, oppure in una morsa, di grandi domande e di incognite. Agevole nell'andatura e nel respiro dei versi concepiti come in una stanza piena di sole, ma dalla cui finestra filtra un paesaggio piovoso, pieno di suoni incantevoli e sinistri: analitica, ma detta in stato quasi d'abbandono. Motivi di vita e di morte messi nel medesimo grandangolo, restituiti al loro più sensibile grado del sentire, in quel confine di corpi corrotti dalla loro stessa immagine; che allunga gli abissi mondani potandoli alla visionarietà più lirica, alla più ampia cosmogonia; ma è materia che vibra di una intimità pura, cogente, covata in un suo lembo etico, in una sua calma affezione di gesti e parole dettate da Amore. Parole levigate e vive, messe in versi come a mani giunte, piene di abbagli tuttavia improvvisi e rivelatori.
C'è un mondo di forme dette al limite dell'ombra, un buio di acque sconosciute da sentirne il suono lontano. Serino nuota come se volasse campi e fiumi e con lui stelle a far luce di parole, sotto un silenzio grave di vita. Ed è come trovarsi innamorati inaspettatamente, aver fiutato il senso in bilico e tirarselo con una corda, ad ogni strappo un grido d'amore, una preghiera di livida sopravvivenza, ad ogni affanno un seme di luce da salire in dolcezza, rimanendo con la voce nell'acqua.
E questa è acqua filosofica, tenuta in un suo denso nucleo lirico, in una sua mistica malinconia.
Ecco: qui stanno gli affetti, i ricordi, ogni piccola gioia terrena; qui è il teatro del mondo, il gioco che si gioca per fame e per sete: qui è l'ora dei ricami nel fuoco, di vecchie controversie e comunioni, di silenzi tenuti in una sacca di odio o di amore. Ma dopo, oltre, è l'aria dorata che viene per svelare il sogno, l'arcano che ci muove le ali, la forma tutta del cielo esplosa in una piccola divinazione.
Un pianto, par d'udire, di muta intelligenza: pensiero della morte sorella, felicità o speranza di pioggia rigeneratrice. Pensiero della vita che si espande ben oltre i suoi torbi furori: terragni infine, ma ubiqui, appunto: trasversali, pieni di un sole leggero.
Quanta preghiera nei testi di Serino. Quanta alta Poesia.
Giovanni Perri
.
Piccola scelta di testi
*
Sic transit
confidare
nelle cose che passano
è appendere la vita
al chiodo che non regge
è diminuirsi la vera ricchezza
-arrivare all’essenza
lo scheletro la trasparenza
*
Espansione
il sogno è proiezione? o
sei tu in veste onirica
uscito dal corpo?
sognare è un po'
essere già morti
come
nell'oltrevita
e l'essere si espande
si sogna moltiplicato
in fiore atomo stella
appendice? o
espansione è il sogno?
*
Vive una luce
vive nell'akasha una luce che
custodisce quel mosaico che dici
destino
tu sei l'ombra
del Sé: l'alterego o se vuoi
l'angelo che
ti vive a lato nei
paradossi della vita
*
Forse una nube
(a Pierluigi Cappello)
mi accoglierà un non-luogo
non più inalerò resina di abeti
alle finestre degli occhi colombe
bianche si poseranno
mi abbraccerà vaghezza
forse una nube vorrà dire casa
*
Eterno presente
kronos esce dal mare
prenatale
il domani è un imbuto
dove fluiscono gli oggi
coi sordi tamburi del sangue
dove in fondo
agli specchi annegherà la
realtà
relativa: lì il mondo che
si vede
rovesciato
*
Sull'acqua
sul grande mare del sogno
veleggiano i miei morti
gli occhi forti di luce
con un cenno m'invitano
al loro banchetto sull'acqua
d'argento striata
m'accorgo di non avere
l'abito adatto
cambiarmi rivoltarmi
devo
vestire l'altro da sé
https://poesiaurbana.altervista.org/nota-di-giovanni-perri-a-vita-trasversale-di-felice-serino/
Cascades Douzou- Marocco
rimanere in essere
incapsulati in una vita
ch’è copia
sfocata dell’Originale
dimezzata vita: scampoli
pure
zampillo d’acqua viva
dall’Io subliminale
la difficile luce